l'intervista
giovedì 14 Novembre, 2024
di Davide Orsato
Sono quelli che lavorano sulle retrovie della battaglia politica. Il pubblico ignora la loro esistenza (con qualche piccola eccezione) ma pianificano ogni mossa comunicativa dei candidati alle elezioni. E di sindaci, presidenti di Regione, parlamentari e ministri, quando poi le elezioni, eventualmente, si vincono. Sono gli «spin doctors» (lo spin è il colpo a effetto), una categoria particolarissima di addetti stampa. Ora hanno anche un manuale, scritto dal giornalista padovano Carlo Melina, già impegnato in consulenze per campagne elettorali di tutti i tipi, pubblicato da Historica (16,50 euro). Si intitola «Non difenderti, attacca» e contiene 50 regole per una comunicazione politica (imprevedibile e quindi efficace).
«Non difenderti, attacca». Ma anche «Dichiara guerra» (regola numero 13). Tantissimi, tra questi anche esperti di media, si lamentano che la comunicazione è già diventata troppo violenta. Perché allora queste raccomandazioni?
«La lotta per il potere, per quanto normalizzata da leggi e procedure, è pur sempre una lotta. Sostenere che la comunicazione, nell’era del politicamente corretto, sia diventata più violenta significa commettere un errore di prospettiva. In Italia negli anni ’70 si sparava per le strade, oggi non accade più. E pure il linguaggio della politica è meno violento di allora. Ad essere cambiata è la sensibilità di parte dell’elettorato e pure dei commentatori. E poi c’è un altro aspetto»
Quale?
«Indignarsi per il linguaggio di un avversario fa parte di una strategia comunicativa. Adottata tanto a destra quanto a sinistra».
E allora perché dichiarare guerra?
«Perché nessuno si alza dal divano per battere il fante sopra al due di coppe. Un elettore deve essere fortemente motivato. E la metafora della guerra serve ad attivare un pubblico che è sempre più indifferente e pare ritenere che la sua partecipazione agli appuntamenti elettorali sia inutile».
Il libro è stracolmo di citazioni, dalla Bibbia a Donald Trump. Ma c’è un personaggio ricorrente: Rudi. Chi è?
«Rudi è un personaggio immaginario e rappresenta l’elettore medio: sfiduciato, distratto e eppure desideroso di sentirsi rappresentato. È a lui che il politico deve rivolgersi se vuole vincere le elezioni e mantenere un buon livello di consenso. Rudi non si aspetta lezioni, non vuole sapere dalla politica come deve vivere e cosa deve desiderare. Apprezza candidati autentici, che si esprimono con un linguaggio semplice, lo stesso che lui utilizza con i suoi amici. Rudi vuole essere trattato alla pari, non da alunno».
Nello scenario italiano e internazionale chi è l’esponente politico che interpreta meglio, attualmente, la filosofia dell’attacco?
«Non esiste una filosofia dell’attacco, ma esistono situazioni in cui conviene attaccare per uscire dall’angolo. La comunicazione politica somiglia alla sfida che Chris Bachelder descrive nel suo romanzo dal titolo “Orso contro squalo”. Fra i due vince chi riesce a portare l’avversario sul suo territorio. Gli attacchi non sono altro che tentativi di spostare lo squalo dal mare ai boschi, dove è più vulnerabile. A livello internazionale Donald Trump ha imparato questa lezione e non risponde nel merito agli attacchi, ma contrattacca cambiando argomento. In Italia il primo ad avere colto questa dinamica è stato Giulio Andreotti, quando diceva “una smentita è una notizia data due volte”».
A proposito di orsi, in Trentino il tema della salvaguardia di alcuni esemplari ha dominato la campagna delle ultime elezioni provinciali e continua ad animare il dibattito pubblico. Chi sta vincendo la sfida comunicativa?
«Chi ha messo davanti a tutto l’interesse dei cittadini che deve rappresentare. Non entro nel merito della questione, ma è evidente che a livello comunicativo il presidente Fugatti abbia fatto la scelta giusta».
In che modo?
«A un candidato uscente conviene “addormentare” la campagna elettorale, evitando ogni polarizzazione. Fugatti, invece, si è trovato a dover gestire una situazione molto scomoda, con un cambio d’agenda repentino: invece di parlare dei risultati del suo mandato ha dovuto confrontarsi con una vicenda dolorosa e complessa. Il dibattito sugli orsi trentini è addirittura diventato tema nazionale. Fugatti ha rifiutato i dibattiti televisivi ed è sceso in piazza, fra la sua gente. Ne ha raccolto le preoccupazioni, le ha interpretate e ha vinto. Anche il referendum della Val di Sole, che si è svolto pochi giorni fa, conferma le ragioni del presidente. Come ha scritto Camillo Langone sul Foglio, “il voto di poche persone bene informate” conta più delle pretese di chi non conosce e non abita un territorio».
Chi sta facendo una comunicazione più offensiva? Gli animalisti, che invitano da tempo a boicottare tutto il Trentino o chi chiede di rimuovere gli orsi?
«Pochi giorni prima della riconferma Fugatti è stato circondato da un gruppo di animalisti. L’unica parola riferibile fra quelle che gli hanno urlato è assassino. Non serve aggiungere altro».
Elezioni Usa, lei aveva ipotizzato la vittoria di Trump. Giriamo la questione: dove ha sbagliato Kamala Harris?
«Harris non ha saputo mantenere lo slancio dei primi giorni. L’avrebbe aiutata sorridere di meno e parlare di più di stipendi e lavoro. Circondarsi di testimonial, anche di area repubblicana, ne ha confermato la contiguità con un establishment indigesto per molti americani. Trump è stato più credibile nel rappresentare gli elettori degli stati chiave, che sono in gran parte le vittime della globalizzazione e della crisi dell’industria. Pensiamo alle immagini: da una parte c’era una signora, candidata come seconda scelta, circondata da attori e cantanti, dall’altra un imprenditore che si è fatto da solo, che resiste a tutto, persino a uno sparo. Lei per chi avrebbe votato?».
Risposta diplomatica: non sono americano. Tornando a casa nostra, la Liguria?
«Il vincitore, Bucci, ha adottato una strategia di comunicazione locale, basata sul rapporto diretto con gli elettori. Questo ha enfatizzato le differenze con Orlando che ha puntato su agenzie nazionali. Nonostante sui social abbia dominato il candidato della sinistra, i punti deboli sono comunque venuti fuori. Ha vinto l’immagine dell’uomo del territorio dotato di esperienza amministrativa e conoscenza dei problemi, a cui ha contribuito molto la comunicazione della Lega e del vice ministro Rixi in particolare. E poi, puntare su giustizialismo e stato di salute di Bucci non ha portato bene a Orlando».
La tesi – controcorrente – per un manuale di comunicazione datato 2024 – è che i giornali, online ma anche di carta stampata, avranno ancora un peso. Perché?
«Per almeno due motivi. Il primo: non è vero che la gente non legge i giornali. Semplicemente non è più disposta a pagare per sfogliarli, ma non fa altro che commentare articoli e condividerli sui social network. Forse questo dovrebbe portare gli editori tradizionali, più che a tagliare i costi e chiudere redazioni, a ripensare il loro modello di business. Il secondo: i dati indicano che gli italiani amano le tv e la radio, anche locali. Ma è sulle pagine dei quotidiani di carta che le redazioni di queste emittenti si abbeverano e decidono di cosa parleranno in diretta con il pubblico. Quindi, piaccia o meno, a fare l’agenda del dibattito sono sempre i vecchi giornali».