Il personaggio
martedì 16 Aprile, 2024
di Lorenzo Fabiano
Capelli biondi da tedesco, due tronchi di quercia al posto delle gambe, sette polmoni a energia rinnovabile e le maniche della maglia fatte su, come le tiene chi sgobba. Lo chiamavano «Il tedesco», «Motorizzi», «Ruspa» e via andare, Carlo Odorizzi da Tuenno, e lo volevano tutti, perché uno con quel motore e quella solidità teutonica da «Borussia» in mezzo al campo faceva un gran comodo. Strano caso il suo: all’alba degli anni Ottanta vinse da protagonista due campionati in serie B, la prima con la maglia del Genoa e la seconda con quella dell’Hellas Verona, di lui si diceva sempre un gran bene (le pagelle dell’epoca son carta che canta) eppure il momento del grande balzo in massima categoria non venne mai. Oltre trecento partite in serie B per una vita da mediano che neanche il Lele Oriali del Liga: «Ma va bene così, dai. Mi basta aver lasciato un bel ricordo nelle tifoserie delle squadre dove ho giocato», la taglia corta lui. Parliamone.
Partiamo dal Trentino, Carlo; dalla prima maglia al Mezzocorona per approdare tra i professionisti al Bolzano.
«A Mezzocorona giocava mio fratello Celeste e fu lui a portarmici. Ero forte fisicamente ma tecnicamente un po’ grezzo. Del resto, ho iniziato a giocare in piazza al mio paese e non ho fatto scuola in un settore giovanile. Fu proprio a Bolzano che potei affinare la tecnica. Venni selezionato per la rappresentativa del Triveneto, e andammo a giocare il torneo delle regioni a Figline Valdarno: gli osservatori mi notarono e l’Arezzo fu il più lesto a prendermi. Fu così che a nemmeno vent’anni feci il mio esordio in serie B».
Già allora la cercava un ds come Riccardo Sogliano, che solo nel 1978 riuscì a portarla al Genoa. Come avvenne quel passaggio?
«Dall’Arezzo, ero passato alla Sambenedettese, sempre in serie B, dove feci bene. Era dura a venire giocare lì: il vecchio stadio, il Ballarin, era una polveriera. Quando Sogliano mi portò al Genoa mi disse: “Ma sai da quanti anni è che ti corro dietro!?”. Al Genoa ho giocato con grandi giocatori come Bruno Conti, Claudio Sala e Sebino Nela; ho sempre sperato di poter giocare con quelli più forti di me, perché non solo impari ma ti fanno anche vincere».
Che giocatore era?
«Correvo molto ed ero tosto. Sono anche stato fortunato a non subire infortuni gravi. Ero un tipo un po’ chiuso e riservato come la gente di montagna, ma in campo mi trasformavo e davo tutto. Giocare davanti a diecimila o cinquantamila spettatori non mi faceva né caldo né freddo; altri miei compagni, invece, la pressione la sentivano eccome e su certi campi “caldi” finiva che si nascondevano».
Promozione in serie A nel 1981 con Gigi Simoni, ma lei in A non ci andò…
«Pensavo di salire subito, e invece impiegammo tre anni. A novembre mi voleva il Napoli, pronto a sborsare 800 milioni di lire per il mio cartellino, ma non se ne fece nulla perché la società non voleva inimicarsi la tifoseria che mi voleva un gran bene. Mi cedettero al Verona, che si era appena salvato dalla serie C. Sarei bugiardo se le dicessi che non ci rimasi male. Il bello è che in serie A nel Genoa avrebbe giocato gente che mi faceva da riserva in B».
Nell’estate del 1981 passò al Verona di Osvaldo Bagnoli, vinceste il campionato ma per lei le porte della serie A rimasero di nuovo chiuse. La storia si ripeteva…
«Nessuno mi disse nulla. Dai giornali appresi che mi avevano ceduto al Palermo in serie B. A Verona c’è ancora chi canta “O-dorizzi-Odo-Odo-rizzi”. In squadra con me c’erano Garella, Tricella e Di Gennaro che tre anni dopo avrebbero vinto lo scudetto. Mi hanno anche invitato al centenario e sono andato molto volentieri».
Noto che cita i giocatori, ma non gli allenatori…
«Preferisco di no. Son state dette cose che non son poi state mantenute e non mi va di tornarci su. Pazienza, il calcio mi ha fatto uscire dal mio paese a vedere e capire il mondo».
Ora però mi deve dire se si è fatto almeno un’idea del perché la serie A rimase sempre per lei un sogno proibito.
«Non l’ho mai capito, anche perché nessuno me lo ha mai spiegato. I migliori mediani della serie B eravamo io e Giancarlo Pasinato dell’Ascoli. Lui andò all’Inter, io rimasi in cadetteria. Forse è stata anche colpa mia, in quanto ero uno che pensava solo a giocare a calcio e a parlar poco. E invece è importante saper parlare, farsi sentire e vedere. Ma quella non è la mia indole. Rompevo le balle quando c’era da fare il contratto, ma perché sapevo quanto la carriera del calciatore fosse breve e dovessi portare a casa il più possibile. Diciamo che se avessi avuto un procuratore, in A ci avrei giocato».
Scommettiamo che oggi Carlo Odorizzi ci giocherebbe in A?
«Me lo dicono in tanti, adesso però. Allora nessuno spese una parola».
La serie A l’ha incrociata in Coppa Italia.
«Nell’estate del 1981 col Verona battemmo il Milan due a zero e si capì che stava nascendo una bella squadra. Con le grandi squadre della serie A avevi più spazio, mica ti asfissiavano nella marcatura a uomo come in B. Giocai una gran bella partita quella sera e il presidente Farina mi avrebbe voluto al Milan, ma niente da fare».
Il calcio di oggi le piace?
«È cambiato tanto, ma non c’è più nessuno che dribbla, e vedo troppo passaggi e passaggetti laterali. Così diventa noioso. Ma la cosa più noiosa è un’altra…».
Dica.
«Le conferenze stampa degli allenatori, la cosa più noiosa al mondo. Dicono sempre le stesse cose. Bene che le cose si dicano nello spogliatoio, ma qualche volta qualcosa andrebbe anche detto, sennò ‘ste conferenze a cosa servono?».
Chiuso col calcio, a cosa si è dedicato nella vita?
«Dopo Verona, andai al Palermo, quindi tornai a San Benedetto del Tronto per chiudere a Francavilla dove, sebbene avessi tre anni di contratto, ne feci uno solo. Non avevo più stimoli, ed era venuto il momento di smettere. Mi sono dedicato alla politica».
Destra o sinistra?
«Non c’entra. La qualità la fanno le persone».
Vabbè dai, dicono tutti così.
«Ma è così che la politica dovrebbe essere, la differenza la fa la qualità delle persone».
Mi dica allora che esperienza è stata.
«Positiva, come assessore allo sport del comprensorio dei Comuni della Val di Non. Misi insieme le società calcistiche della valle e facemmo un’unica squadra con i migliori elementi. Ci giocava Andrea Pinamonti, il Chievo lo notò e lo portò a Verona. La sua carriera è iniziata così».
A proposito, al Sassuolo come lo vede?
«Fa fatica. Vedo che si smarca ma di palloni ne riceve pochi».
E oggi che cosa fa nella vita Carlo Odorizzi?
«Vivo a Taio, faccio il pensionato e il nonno di una nipotina di dieci mesi. Mi invitano a Genova e a Verona a vedere le partite, ma non sono mai andato. Per un periodo mi divertivo ad andare a giocare tra le fila dei Gialloblù 70 con i vecchi compagni del Verona. Come le dicevo, sono felice di aver lasciato bei ricordi. Le faccio un esempio…»
Prego.
«La scorsa estate sono stato in vacanza al mare a San Benedetto del Tronto. Ero un po’ dubbioso perché volevo farmi i fatti miei e starmene tranquillo. È successo che mi hanno riconosciuto e mi hanno fatto una gran festa. È stato molto bello. Sono queste le cose che contano veramente, perciò le dico che la mia carriera è andata bene così».
l'intervista
di Davide Orsato
L’analisi del giornalista che ha di recente pubblicato un manuale per spin doctors dal titolo «Non difenderti, attacca» e contiene 50 regole per una comunicazione politica (imprevedibile e quindi efficace)