Tribunale
martedì 8 Ottobre, 2024
di Benedetta Centin
Nella sua lunga requisitoria (solo la prima parte) durata per sei ore, da mattina a sera, la pm Maria Colpani è partita dalla sparizione della ginecologa forlivese Sara Pedri, dal giorno – il 4 marzo 2021 – del ritrovamento della sua auto nella zona del lago di Santa Giustina, per riavvolgere il nastro al prologo dell’inchiesta. Al momento dell’avvio delle articolate indagini che hanno portato sul banco degli imputati, a rispondere dell’ipotesi di maltrattamenti continuati e in concorso – nei confronti di 21 persone tra infermiere, ostetriche e medici del reparto di Ginecologia e Ostetricia del Santa Chiara, tra cui appunto la Pedri – l’ex primario Saverio Tateo e la sua allora vice, Liliana Mereu (solo il primo presente ieri in aula, per l’udienza a porte chiuse). Entrambi i medici, che hanno chiesto di essere processati con rito abbreviato, che consente lo sconto di un terzo in caso di condanna, hanno sempre respinto con forza le accuse, anche nel corso dell’esame davanti al gup Marco Tamburrino.
La pm: «Costante soggezione»
Quelle accuse rispedite al mittente sono invece state rimarcate con fermezza ieri dalla magistrata titolare del fascicolo, attraverso quanto raccolto durante le indagini, che si sono focalizzate anche al periodo precedente la scomparsa di Sara Pedri. «Le problematiche in reparto erano già note dal 2018» ha fatto sapere la pm, che ha portato come prova anche le sofferte audizioni (di un’infermiera e di otto ginecologhe) cristallizzate nel corso dell’incidente probatorio. «Sono molte le testimonianze raccolte dalle quali emerge il clima oppressivo che si era creato nel reparto di Ginecologia» ha riferito la pm Colpani, che nel corso della disamina della prima decina di parti offese, circa la metà quindi, ha argomentato attraverso episodi, fatti riscontrati, testimonianze appunto. Riferendo come il personale fosse «in costante stato di soggezione, vittima di maltrattamenti di anni». Personale che si lasciava andare «ad esclamazioni forti (nei confronti degli imputati), a reazioni disperate, al pianto, lamentandosi anche del trattamento subito, perché chi viene maltrattato non può farlo?» ancora Colpani. Che ha citato anche il caso di una dipendente che non aveva voluto firmare una lettera per far sapere della «difficile» situazione nell’ambiente di lavoro. «Io ho paura, non posso firmare, temo le conseguenze» le dichiarazioni citate dalla pm che ha anche ricordato: «Eppure per Tateo erano loro (le operatrici ndr) che se la prendevano e creavano questo clima». E tra le parti offese c’era chi aveva confessato, in lacrime: «La Mereu aveva un atteggiamento costantemente aggressivo, me la sognavo anche di notte». Ma la requisitoria, che si è protratta fino a sera, non si è esaurita e riprenderà a fine novembre, nella prossima udienza calendarizzata in cui la pm è chiamata a formulare la richiesta pena per Tateo e Mereu.
Gli avvocati
A udienza finita, attorno alle 18.30, fuori dall’aula, i legali non avevano voglia di commentare. Poche, ma pungenti, le parole di Salvatore Scuto, l’avvocato che difende Tateo con il collega Nicola Stolfi. «La requisitoria? Parte di una fervida, arbitraria fantasia» ha chiosato. Si era invece soffermato più a lungo, in mattinata, l’avvocato Nicodemo Gentile, che assiste la famiglia Pedri, in particolare la madre, che è parte civile, e cioè Mirella Santoni, quale curatrice della ginecologa scomparsa. «Sara non c’è più, ma la sua fine sicuramente drammatica, noi riteniamo un gesto estremo, è servita a scoperchiare un vaso di Pandora. E non lo abbiamo definito noi così ma la Procura e tutte le attività che ci sono state. Anche la stessa pm in aula oggi (ieri per chi legge ndr) ha detto che purtroppo ci è voluto il morto perché questo accadesse – le parole di Gentile – Sara ha fatto con il suo sacrificio enorme quello che avrebbe forse dovuto fare già dal 2018 la politica, che come succede spesso si è girata dall’altra parta», ancora l’avvocato della famiglia, la quale «fa pieno affidamento alla giustizia». Ancora, per Gentile «la pm si è dimostrata molto lucida e convinta del quadro accusatorio, è entrata nei particolari, a descrivere quel clima insidioso, di ostilità, di attacchi, dicendo che il dipartimento (il reparto ndr) era una pentola a pressione piena di gas nocivo pronta ad esplodere». Un tipo di impostazione, quello della pubblica accusa, «coerente con l’esito delle indagini e di quanto emerso nell’incidente probatorio in cui sono confluite testimonianze importanti. Coerente – ha concluso Gentile – con quello che speriamo sia l’esito della sentenza».