la catastrofe
martedì 7 Febbraio, 2023
di Redazione
Un bilancio devastante, destinato a crescere di ora in ora. Due Paesi – la Turchia e la Siria – che scavano senza sosta sotto le macerie e la comunità internazionale che ha offerto tutto l’aiuto possibile. Russia compresa. La notte tra il 5 e il 6 febbraio 2023 sarà ricordata come il “big one” dell’Anatolia: una scossa di magnitudo 7.9 – con epicentro a 30 km da Gaziantep – ha fatto tremare la Turchia sud-orientale, al confine con la Siria, e altre decine di scosse di assestamento – alcune con magnitudo superiore a 7 – hanno dato il colpo di grazia. Le vittime accertate sono oltre 3mila, i feriti oltre 11mila, ma centinaia di famiglie sono rimaste sepolte sotto le case e i palazzi crollati. Nessun italiano è rimasto coinvolto. Secondo il ministro della Salute turco, Fahrettin Koca, le scosse hanno ucciso 1.651 persone in Turchia e ne hanno ferite almeno 11.159. 3.471 edifici sono crollati. Le forti piogge e la neve, oltre al previsto abbassamento delle temperature, stanno rendendo ancora più difficile il lavoro dei soccorritori. A Iskenderun e Adiyaman, nelle province turche di Hatay e Adıyaman, gli ospedali pubblici sono crollati mentre è probabile che il bilancio delle vittime continui ancora a crescere nelle città interessate, Adana, Gaziantep, Sanliurfa, Diyarbakir in particolare. Il presidente Recep Tayyip Erdogan ha decretato sette giorni di lutto nazionale. Sono almeno mille invece i morti in Siria: 570 persone sono state uccise e 1.403 ferite nelle aree sotto il controllo del governo nelle province di Aleppo, Latakia, Hama e Tartous. Nelle aree sotto il controllo dei gruppi ribelli nel nord-ovest, almeno 430 persone sono state uccise e più di 1.050 ferite. Ad aggravare la situazione in Siria, anche la difficoltà di censire le necessità nelle aree in mano ai ribelli, dove il bilancio di vittime e feriti è difficile da accertare, soprattutto nelle province di Aleppo e Idleb.
La prima scossa è stata registrata alle 4.17 ora locale (le 2.17 in Italia) – a circa 60 km in linea d’aria dal confine con la Siria – seguita da dozzine di scosse di assestamento, poi alle 13.24 una nuova scossa di magnitudo 7.5. Si tratta del sisma più forte da quello del 17 agosto 1999, che causò 17mila vittime, di cui un migliaio a Istanbul. Nel 1939, invece, un sisma di magnitudo 8.2 nella zona intorno alla città di Erzincan, nel nord della Turchia, causò circa 33mila morti.
Di fronte alla desolazione di macerie e fumo, i sopravvissuti hanno cercato di mobilitarsi sgombrando le rovine a mani nude, utilizzando secchi per evacuare i detriti. Ad Hama soccorritori e civili hanno estratto a mano, aiutati da macchinari pesanti, i corpi delle vittime sotto le macerie, compreso quello di un bambino. A Jandairis, più di 40 case sono crollate come un castello di carte.
E mentre Damasco e Ankara affrontavano la loro tragedia, in Italia scattava l’allerta maremoto, diramata nella notte dal Centro Allerta Tsunami dell’Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia, che aveva inviato la popolazione ad allontanarsi dalle zone costiere. Allarme poi rientrato nelle prime ore del mattino. Per precauzione, era stata sospesa a scopo cautelativo la circolazione ferroviaria in Sicilia, Calabria e Puglia, proprio per il rischio di possibili onde anomale.
La comunità internazionale si è immediatamente stretta intorno ai paesi colpiti dal sisma. Il presidente turco, Recep Tayyip Erdogan, ha fatto appello all’unità nazionale, affermando che la Turchia ha ricevuto offerte di aiuto da 45 Paesi: «Siamo stati scossi dal più grande disastro dopo il terremoto di Erzincan del 1939 che abbiamo vissuto nel secolo scorso – ha commentato Erdogan, annunciando 7 giorni di lutto nazionale -. Spero che ci lasceremo alle spalle questi giorni disastrosi. Oggi è il giorno di 85 milioni di cuori in un solo battito».
Messaggi di sostegno sono arrivati da tutto il mondo. Dal presidente Usa, Joe Biden, e fino al russo Vladimir Putin e al cinese Xi Jinping. «I nostri team sono sul campo per valutare i bisogni e fornire assistenza», ha fatto sapere il segretario generale delle Nazioni Unite, Antonio Guterres. Un minuto di silenzio durante l’Assemblea generale dell’Onu.