il dramma
sabato 5 Novembre, 2022
di Benedetta Centin
La svolta decisiva nelle indagini sulla morte di Massimiliano Lucietti, il cacciatore 24enne ucciso lunedì mattina nel bosco sopra l’abitato di Celledizzo di Peio (dove abitava), ancora non c’è. Ma dai primi accertamenti dei carabinieri del Ris di Parma, è comunque emerso un elemento importante. Che farà inevitabilmente scattare ulteriori indagini. Ad ampio raggio. Da quanto trapelato infatti il calibro del proiettile che ha raggiunto il giovane operaio di spalle, all’altezza della nuca, era lo stesso del fucile di Maurizio Gionta, il 59enne che quella maledetta mattina aveva rinvenuto il corpo senza vita del ragazzo e che il giorno dopo si è tolto la vita. Ma il fatto che si tratti dello stesso calibro e cioè 270 Winchester (quello per la caccia in montagna) potrebbe essere solo una mera, dannata, coincidenza. Non c’è infatti alcuna certezza che il colpo mortale sia partito dal fucile di Gionta. L’arma che i carabinieri gli avevano sequestrato la sera di lunedì, dopo averlo sentito a lungo come persona informata sui fatti.
A dare risposte certe su quello che — a distanza di quasi una settimana — continua a rimanere un giallo, potranno essere solo gli accertamenti balistici ancora in corso da parte degli specialisti del reparto investigazioni scientifiche (Ris). Accertamenti che si sono rivelati particolarmente complessi e che potrebbero proseguire ancora per qualche giorno. Secondo le indiscrezioni, infatti, il proiettile, o meglio l’ogiva (parte del proiettile), trovata sull’addome di Lucietti è molto danneggiata e questo rende più difficoltoso il lavoro degli specialisti di Parma. Che sono appunto chiamati ad effettuare gli esami balistici ed individuare di conseguenza l’arma che ha sparato il colpo mortale. A dare quindi risposte scientifiche. Certe.
Quello che è stato appurato finora è che il fucile del 24enne, una carabina Winchester con cartucce calibro 300, non è quello che lo ha ucciso. Chi ha sparato al giovane cacciatore — l’autopsia ha chiarito da una distanza di almeno mezzo metro ma potrebbero essere stati anche metri — imbracciava una carabina Winchester con munizioni calibro 270. Un’arma comune, questa, tra i cacciatori della zona, della valle. Sarebbero una ventina circa coloro che ne possiedono una, che risulta registrata ufficialmente. Ed è scontato, a questo punto, che gli inquirenti si concentreranno su di loro. E che saranno chiamati in caserma. E sentiti. Uno ad uno. Il pubblico ministero Davide Ognibene, che sulla scrivania ha un fascicolo aperto per omicidio colposo a carico di ignoti, potrebbe infatti delegare i militari della compagnia di Cles per passare in rassegna tutti coloro che lunedì mattina avrebbero potuto trovarsi nella zona boschiva di Celledizzo per una battuta di caccia e che potrebbero aver mirato al povero Lucietti per errore, scambiandolo forse per un animale. E non si può escludere che si arrivi anche ad acquisire tutti i fucili dello stesso calibro per verificare una possibile compatibilità con il proiettile killer. Quello che ha colpito il vigile del fuoco volontario alla nuca ed è fuoriuscito all’altezza del collo, rinvenuto poi all’altezza dell’addome. L’elemento determinante, capace di risolvere il caso.
Con il passare dei giorni c’è anche un altro aspetto su cui si stanno diradando le ombre. Quello cioè della presenza di un terzo cacciatore in quell’area di bosco che si è macchiata di sangue. Sentito dai carabinieri come persona informata sui fatti, questo terzo avrebbe spiegato che la mattina di lunedì era sì partito con Gionta per andare a caccia ma poi si erano divisi. E nel momento in cui l’ex forestale ha rinvenuto il 24enne senza vita, vicino al capanno, lui si trovava altrove. Distante alcuni chilometri. E avrebbe avuto modo di provarlo. E ci sono riscontri oggettivi che lo comproverebbero: lui si trovava al bar quando è avvenuta la disgrazia. Era stato quindi visto da altre persone. Questi comunque non sarebbe l’unico cacciatore convocato in caserma dagli investigatore per fornire la sua versione. Sarebbero due quelli sentiti oltre a Gionta che martedì ha scelto di puntarsi contro un altro suo fucile, sempre dello stesso calibro 270. Un gesto estremo dopo aver lasciato un biglietto di addio in cui avrebbe scritto, rimarcando la sua innocenza: «Non attribuitemi responsabilità che non sono mie». Stando ad una nipote il forestale in pensione «si era sentito addosso un peso incredibile, e non tutte le persone hanno le spalle larghe per poterlo sopportare».
Per oggi intanto sono fissati i funerali del padre di famiglia 59enne, domani invece quelli del ragazzo, da celebrarsi nel campo sportivo cittadino. Giorni di lutto per tutta la comunità di appena 350 anime. Giorni di lacrime amare, che però non cancellano le domande che ancora aspettano risposta.
I primi a volerle sono proprio i parenti dei due deceduti costretti, d’ora in poi, a convivere con un grande, struggente, dolore. Con l’angoscia di non sapere. Non ancora. E con sete di verità. Quella che solo gli inquirenti in campo potranno appagare. Anche se la strada sembra tutta in salita.
«La famiglia di Gionta è in attesa di avere notizie sugli esiti degli accertamenti — fa sapere il legale nominato da moglie e figli, l’avvocato Andrea de Bertolini — quello che è certo, dato incontrovertibile, è che non si può affermare che Gionta sia coinvolto nella morte di Max Lucietti».
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