ECONOMIA
sabato 2 Dicembre, 2023
di Valentino Liberto
«La città sono io». Con questo titolo eloquente il settimanale Der Spiegel tentò, un anno fa, di ricostruire la strategia (definita «spregiudicata») del magnate austriaco René Benko, fautore dell’impero immobiliare Signa che mercoledì ha dichiarato lo stato d’insolvenza al Tribunale commerciale di Vienna. «Comprare proprietà svalutate in posizioni privilegiate con denaro preso in prestito, demolire e ricostruire, infine affittare o vendere a prezzi alti. Ovunque metta a segno un colpo, promette lui, tutto sarà più grande, più lussuoso, più unico – e in definitiva più redditizio che altrove», scriveva il settimanale tedesco, ricordando i nomi dei principali finanziatori del gruppo: il miliardario della logistica Klaus-Michael Kühne, la dinastia automobilistica di Robert Peugeot e il re delle costruzioni stradali Strabag Hans Peter Haselsteiner, bolzanino d’adozione. E proprio Bolzano rappresenta la porta d’accesso all’Italia della Signa di Benko, grande amico anche dell’ex premier Sebastian Kurz. L’imprenditore nato a Innsbruck nel 1977 — dove iniziò a fare soldi trasformando soffitti in attici di lusso, fino ad arrivare ad abbattere e ricostruire il centro commerciale Tyrol nella centralissima Maria-Theresien-Straße — dieci anni fa mise le mani sulla città capoluogo dell’Alto Adige con il progetto «Kaufhaus Bozen», poi ribattezzato Waltherpark. Un mega centro commerciale nel parco della stazione, in pieno centro storico. L’operazione immobiliare fu sostenuta dall’allora sindaco del Pd Luigi Spagnolli (oggi senatore del Gruppo Autonomie), dal centrodestra e persino dall’ex presidente della Provincia Luis Durnwalder, ma all’epoca fu bocciata dal Consiglio comunale (grazie alla contrarietà di Verdi, Cinque Stelle e parte della Svp). Spagnolli allora si dimise, firmando come ultimo atto del proprio mandato l’avvio della procedura di partnership pubblico-privata (Ppp). Durante il commissariamento del Comune, fu indetto un referendum consultivo che infine approvò il megastore, ma senza regolamentare la campagna elettorale che fu perciò dominata dal tycoon d’Oltrebrennero — già condannato per aver corrotto l’ex primo ministro croato Ivo Sanader affinché intervenisse con l’allora premier Silvio Berlusconi per risolvere un contenzioso fiscale. Signa, inoltre, è attiva a Bolzano su altri fronti: oltre al mall oggi in costrizione, ha realizzato un quartiere residenziale di lusso e possiede una quota dell’aeroporto. Per anni, poi, ha scommesso sulla «riqualificazione» della collina del Virgolo con l’idea di trasferirvi il museo di Ötzi. Un «Louvre delle Dolomiti» lo definì Heinz Peter Hager, commercialista plenipotenziario di Benko a Bolzano, ritenuto vicino al governatore Arno Kompatscher. Ciononostante, la Provincia ha scelto un’altra area per la futura sede del Museo.
Nel 2014 René Benko compra l’importante catena tedesca di negozi Karstadt, in forti difficoltà economiche. Da lì a poco arriverà la fusione con Galerie Kaufhof, finalizzata nel 2019 — lo stesso anno dell’acquisizione del Chrysler Building a New York. Nasce così Galeria Karstadt Kaufhof, la più grande catena di centri commerciali della Germania, da cui si diramano decine di operazioni immobiliari nei centri storici: «Benko è considerato un negoziatore fantasioso», scrisse lo Spiegel riguardo alle pressioni esercitate sulle amministrazioni comunali, «approfittando delle difficoltà dei sindaci, con le tasche vuote, i centri città vuoti e i municipi privi di idee». L’operazione Karstadt-Kaufhof, con la crisi post-pandemica, porta però innumerevoli difficoltà finanziarie alla Signa. I guai si susseguono in pochi mesi. Prima i controlli della Bce sulle banche creditrici, poi Deutsche Bank che (secondo il Financial Times) rompe i rapporti col gruppo, infine la dichiarazione di bancarotta di Signa Sports United, quella d’insolvenza del ramo tedesco di Signa Prime Selection e la richiesta dei co-azionisti a Benko di farsi da parte. I lavori ad alcuni importanti progetti a Monaco e ad Amburgo — come il grattacielo Elbtower — si fermano, mentre il cantiere a Bolzano va avanti «senza alcun problema», dichiara Hager, nonostante «qualche terrorista in Consiglio comunale». «Non abbiamo bisogno di soldi, il Waltherpark è ottimamente finanziato da Signa ed è gestito autonomamente in Italia», tranquillizza il commercialista.
«Nonostante i notevoli sforzi compiuti nelle ultime settimane, non è stato possibile ottenere la liquidità necessaria per una ristrutturazione extragiudiziale», si legge nel comunicato di Signa che accompagna la richiesta al Tribunale di Vienna di aprire un processo di ristrutturazione del gruppo tramite autogestione. Le trattative con gli hedge fund, come l’americana Elliott, sono fallite: il gruppo Signa, a corto di liquidità, era alla disperata ricerca di 500-600 milioni di euro per onorare i debiti in scadenza. I debiti della holding nei confronti delle banche ammontano solo in Austria a 2,2 miliardi di euro. Signa Prime Selection e Signa Prime Development hanno debiti per 13 miliardi, di cui 7,7 a tasso variabile. Rischiano entrambe lo stato di insolvenza, coinvolgendo altre società minori — ce ne sono quasi 400, di cui 36 direttamente collegate alla holding — con un inevitabile effetto domino. Di Signa Prime Selection fa parte anche la Immobilienprojekte Bozen, da cui dipende la società Waltherpark che sta realizzando l’omonimo centro commerciale.
Tennis
di Redazione
Il campione altoatesino sulla copertina di «Tennis Magazine» che titola «Il primo della classe». Lui: «Tre anni fa nei tornei più importanti arrivavo negli ottavi, nei quarti; l'anno dopo alternavo quarti e semifinali»