Il caso
mercoledì 26 Ottobre, 2022
di Benedetta Centin
Telefona insistentemente al padre, allarmato dal suo prolungato silenzio, e viene a sapere che è mancato dall’addetto alla camera mortuaria del cimitero di Trento che si era premurato di rispondere, prelevando il cellulare dalla tasca del deceduto. C’è un fascicolo aperto a carico di ignoti sulla scrivania del pubblico ministero Alessandra Liverani in merito alla morte dell’ingegner Armando Ravagni, professionista stimato e molto conosciuto (e non solo in città), ancora in attività a 84 anni.
La famiglia, che si è trovata a vivere una situazione surreale, per il tramite dell’avvocato Lorenzo Eccher ha depositato in procura un esposto con richiesta di accertamenti urgenti. A partire dall’autopsia, perché vengano chiarite quanto meno le cause del decesso. Moglie e due figli intanto rimangono in attesa, posticipando a data da destinarsi i funerali. Vogliono risposte. Anzi, le pretendono. Chiedono a gran voce che sia fatta chiarezza. Perché quanto toccato a loro «rimanga un caso isolato».
Al telefono ogni parola di Rodolfo (Rudi) Ravagni, figlio del professionista venuto a mancare la mattina del 14 ottobre scorso in piazza Fiera a Trento, è quanto mai eloquente del suo stato d’animo. «Sono passati dodici giorni e ancora non so di cosa sia morto mio padre e in che circostanze – chiosa – Se non fosse stato per l’addetto in servizio alle celle mortuarie che ha estratto dalla giacca di papà il cellulare che continuavo a far squillare, non avrei saputo cosa gli era successo». Tutto si sarebbe aspettato il figlio ma non che dall’altra parte del telefono ci fosse un necroforo del cimitero di Trento. «Quando l’operatore mi ha spiegato che la salma di papà gli era stata affidata quattro ore prima pensavo ad uno scherzo. Già, uno scherzo – continua il parente, provato – Pensare che ero pronto a fare denuncia di scomparsa alle forze dell’ordine. Ora mi auguro che la procura disponga l’autopsia». Tante le risposte di cui la famiglia intende avere risposta. Non solo vuole capire cosa abbia stroncato l’84enne ma anche chi lo abbia soccorso, chi sia intervenuto, chi era tenuto ad informarli del decesso. Semplicemente «la verità». Che, a quanto pare, non è così scontata. Da quanto è stato possibile ricostruire l’anziano professionista era uscito di casa, in zona piazza Fiera, attorno alle 8 del 14 ottobre. Avrebbe camminato solo per un breve tratto perché all’altezza delle scuole Crispi si sarebbe accasciato e sarebbe stato poi soccorso. «Ma è una ricostruzione frutto solo del sentito dire, attraverso alcune testimonianze – spiega il figlio della vittima – Non abbiamo avuto alcuna informazione ufficiale: nessuno ci ha contattato e avvisato nonostante in tasca papà avesse carta d’identità, patente che scadeva nel 2024 e telefono. Ad oggi non abbiamo un referto di morte in mano che ci spieghi cosa ce lo abbia portato via. Pensare che una settimana prima era stato dimesso da una clinica di Rovereto per un’infezione superata con cura antibiotica. Per i medici stava bene. E’ sempre stato sano e lucido di testa». Il figlio lo descrive come «un professionista innamorato del suo lavoro», tra l’altro «il più anziano iscritto all’ordine degli ingegneri di Trento». E come se non bastasse il grande dolore per la perdita del genitore è inevitabilmente subentrata la rabbia, l’amarezza. La delusione. «Evidentemente la persona non vale più niente, non si deve alcuna dignità ai morti – sbotta il figlio – eppure anche le circostanze di come si passa a miglior vita meritano il massimo rispetto». E per i familiari non ci sono scuse. «L’ente pubblico avrebbe dovuto telefonare a noi parenti, avvertirci. A chi spettava farlo? Perché nessuno se n’è preoccupato?». A ribadirlo anche l’avvocato Eccher. «E’ legittima l’aspettativa di risposte da parte delle istituzioni, per capire come è morto l’ingegner Ravagni, per quali cause e in che circostanze – le parole del legale – Comunicazioni ufficiali non ci sono state finora, speriamo arrivino, per quanto tardivamente, cosa che riteniamo comunque grave».