la storia
lunedì 2 Dicembre, 2024
di Gabriella Brugnara
«Lo scorso anno, per festeggiare i miei settant’anni, decido di fare una maratona. Non una qualsiasi, ma la più iconica che esista sulla faccia della terra: la maratona di New York. Vista la mia età, per raggiungere l’obiettivo scelgo di affidarmi a un preparatore atletico, Luca Degasperi, ragazzo trentenne. “Luca, voglio diventare un boscaiolo, cioè mettere su un po’ di muscoli, partendo dai miei cinquanta chili di peso e, in secondo luogo, vorrei fare la maratona di New York” gli dico. “Oh, bello” mi risponde lui, forse un po’ perplesso. “Tu preparami”, rilancio io».
Comincia così il suo racconto, Chiara Turrini, che lo scorso 3 novembre ha concluso la sua maratona di New York con il tempo di 04:43:55. Donna eclettica, laurea in psicologia clinica, insegnante per oltre quarant’anni al liceo Rosmini di Trento; attrice con il ruolo di insegnante di pianoforte nel film «La vita accanto» di Marco Tullio Giordana e di madre dello statista in «De Gasperi. L’uomo della speranza» di Liliana Cavani, Turrini è anche ideatrice e interprete di spettacoli, quali il recente «Inno all’Amore», che con la figlia Beatrice Scartezzini sta portando in vari luoghi del Trentino, e non solo.
Presa la decisione della Maratona, settimana dopo settimana, Turrini alterna la palestra agli allenamenti di corsa. Non solo sportiva, ma anche molto determinata, è dotata di un forte senso di ironia e soprattutto di autoironia, quindi le prime dure fasi di impegno non la scoraggiano, nonostante siano diversi anni che non si allena sul serio. «Voglio correre come le etiopi, o come le maratonete keniote che filano come frecce» ripete all’allenatore, ma poi l’entusiasmo la porta a esagerare e si fa male al ginocchio. Accade così che il sogno della maratona per i settant’anni rimane solo un sogno e per i festeggiamenti la nostra protagonista «ripiega su due feste rock, una con gli amici e una con i cugini in discoteca». Una sorta di deviazione per allontanare il pensiero da New York, che però rimane sempre lì, sotto traccia, al punto che nel gennaio di quest’anno decide di riprendere gli allenamenti. Un progetto fino a quel punto rimasto un segreto tra lei e l’allenatore, ora però sente giunto il momento di coinvolgere le figlie, Stefania, 33 anni, e Beatrice, 29, non solo proponendo loro di aggiungersi alla maratona, ma accollandosi anche tutte le spese necessarie.
Alla prima reazione a caldo delle figlie: «Ma no, mamy, lascia perdere, ti fai male, ti spacchi tutta», segue la loro convinta adesione alla richiesta, con l’obiettivo di dare, quantomeno «un’occhiata» alla madre. Il padre, Silvano Scartezzini, è tenuto, invece, ancora rigorosamente all’oscuro di tutto. Viene però coinvolto come autista e «assistente» di gara durante gli allenamenti per alcune mezze maratone.
«“Mi piacerebbe tantissimo se riuscissi a stare sotto le 5 ore” mi incoraggia Luca Degasperi mentre la data della maratona si avvicina. Mi dice che “sono uno spettacolo” perché lui è anche molto psicologo, vede che mi piace fare fatica, mi piaceva fin da piccola. Mio papà ci svegliava alle quattro del mattino per andare in montagna – ricorda Turrini – mio fratello Stefano nel 1985 è purtroppo morto sotto una valanga facendo sci alpinismo, per questo ho dato il suo nome a mia figlia. Dalla sua morte, ho iniziato a fare ancora più sport, in me è cresciuta la passione di godere la vita, lanciandomi in cose un po’ ardite, trekking in Himalaya, in Pakistan, in Perù. Ho fatto anche skiroll, sci di fondo, compresa la Marcialonga, ho arrampicato con il grande alpinista Bepi De Francesch, al quale ho dedicato uno spettacolo».
La montagna, osserva ancora, «è un po’ come la maratona: un momento mistico, la mia mente esce un po’ da se stessa e non saprei cosa penso, ma mi fa sentire talmente libera».
È con quest’idea di libertà che Turrini arriva a New York con le figlie, pronta a iniziare la maratona, tra gli altri cinquantacinquemila atleti iscritti. «Quando noi partiamo, i primi sono già giunti al traguardo – riprende – Ciascuna di noi tre procede con il proprio ritmo, Beatrice parte come una freccia, lei è canoista, gareggiava nella nazionale, Stefania ha qualche problema ai piedi, ma presto non vedo più neppure lei. La popolazione di New York si riversa nelle strade, il tifo è forte, quando leggo il cartello “you are a rock star” lo sento mio – scherza Turrini – Al ventiduesimo chilometro, incredibile in mezzo a tanta gente, ritrovo Stefania, ha problemi ai piedi, a un certo punto la sorpasso, allora lei, scalfita nell’orgoglio, riparte e raggiunge il traguardo venti minuti prima di me» continua.
«Oltre alla mia famiglia e al mio coach voglio ringraziare anche il grande atleta Gianni Demadonna, manager di atleti di altissimo livello, che mi ha sempre sostenuto. Ci conosciamo sin dalle mie maratone del 1988 (Londra e New York) e ’89 (Merano, New York, settima italiana). È stato lui a darmi la sollecitazione, mi ha prestato le sue scarpe, erano tre numeri più grandi delle mie, ma mi hanno portato fortuna» continua.
Guardando all’oggi, Turrini si dichiara «molto soddisfatta. Mi ritengo fortunata, ho una famiglia bellissima, la salute, i mie studenti a scuola mi hanno riempito di gioia e ancora non smettono di farlo con tante manifestazioni d’amore. I mie primi alunni ora hanno cinquantatré anni» conclude.