Trento
venerdì 31 Gennaio, 2025
di Luca Galoppini
«Servizio veloce, molto disponibili. Cibi buoni, freschi e di buona qualità», scriveva Sebastiano. Mentre Marilena commentava così: «È il posto ideale per iniziare la giornata. Tranquillo, pulito e barista molto gentile». «Il locale è un po’ spartano — aggiunge Eliana — ma allegro e simpatico, peccato che chiuda». Queste sono solo tre delle 165 recensioni lasciate dai clienti sulla pagina Google del Bar Rosy, una delle trattorie più amate della città, punto di riferimento per chi cercava una colazione genuina, un pranzo tradizionale o semplicemente un momento di pausa in un ambiente familiare. La notizia della sua chiusura, avvenuta negli ultimi giorni, ha colpito molti trentini, lasciando un vuoto nel cuore di chi aveva fatto di quel piccolo locale un’abitudine quotidiana.
Le ragioni della chiusura sono di natura logistica, legate al contratto d’affitto che non ha permesso alla gestione di proseguire l’attività. Così, tra la sorpresa e la malinconia, Trento si trova a salutare un altro pezzo della sua identità gastronomica.
Il Bar Rosy non era solo un bar o una trattoria, ma un angolo della città dove il tempo sembrava scorrere più lentamente. Situato al di fuori del centro, in via Giovanni Pedrotti, era frequentato sia dai residenti che dai turisti, attratti dalla sua atmosfera autentica, ma soprattutto da tante lavoratrici e lavoratori che intorno all’area gravitano (dalla Centrale unica di emergenza ad A22).
La gestione era nelle mani di Rodolfo e Alfredo Covelli, insieme a Eleonora Weber e Alessandro Iori, che con passione e dedizione avevano trasformato il locale in una vera e propria istituzione e in una delle poche trattorie della città. I piatti serviti variavano dalla tradizione trentina (come l’ottima carne salada) ai primi serviti nel tradizionale tegamino (dai risotti ai gnocchi alla sorrentina), preparati con ingredienti freschi e di qualità. Tra le specialità più apprezzate figuravano i panini farciti, le celebri trippe del giovedì e piatti elaborati come la polenta di Storo con baccalà mantecato Bio alla Rosy, il risotto al Teroldego. Poi il venerdì spazio al menu di pesce: dalle cozze alla marinara al polipo con le patate. Il tutto con una spesa contenuta e rivolta ad un pubblico popolare.
Il valore aggiunto del Bar Rosy, però, era proprio la sua autenticità, quel senso di familiarità che lo differenziava dalle offerte standardizzate di molte caffetterie moderne. Il bar presentava sulla propria pagina Instagram un motto interessante: «Anziché dire “ho la sveglia tra 5 ore”, provate a dire”‘ho un cappuccino e un cornetto alla crema tra 5 ore”. Fidatevi, è molto meglio». Un semplice invito a vedere il lato positivo delle cose, a godersi il piacere di una colazione rilassata prima di affrontare la giornata. Ed è proprio questo spirito che i clienti ricorderanno con nostalgia.
La chiusura del Bar Rosy non è un caso isolato. Negli ultimi anni, Trento, come molte altre città, ha visto un progressivo ridimensionamento delle piccole attività indipendenti, schiacciate tra l’aumento degli affitti, la burocrazia e la concorrenza dei grandi marchi. Chissà, forse un giorno i gestori del Bar Rosy decideranno di ripartire altrove, magari con una nuova avventura.