L'intervista
sabato 29 Giugno, 2024
di Lorenzo Fabiano
Pensi a Gianni Moscon e ti ritrovi immerso in quella maledetta Parigi-Roubaix di tre anni fa; la fuga che sembrava poter essere quella buona, poi la sfortuna che gli si abbatté addosso, una foratura e quindi la caduta nel fango steso sul pavè e addio sogni di gloria. Alla fine, fu quarto tra gli applausi del velodromo, ma quarto. Neanche il podio. Poteva essere il suo grande giorno, fu invece quello di un altro italiano, Sonny Colbrelli, ma poi la sfortuna prese di mira pure lui e sappiamo come è andata a finire. Destino? Sì, destino. Da quel 3 ottobre del 2021, quell’anno la Roubaix fu posticipata per il Covid e si corse in una giornata da tregenda in autunno, al buon Gianni non sono girate un granché bene, anzi: due anni molto difficili, tra guai fisici e delusioni, il morale sotto le scarpette fino al pensiero di mollare tutto, fare fagotto e tornarsene a una vita in fattoria; poi, lo scorso autunno è arrivata la chiamata in Belgio in uno squadrone come la Soudal-Quickstep alla corte di Patrick Lefevre e al servizio di campioni del pedale come Julien Alaphilippe e Remco Evenepoel, e ora il trentenne corridore trentino lo ritroviamo al via del Tour de France che parte quest’anno da Firenze. Per un nuovo inizio? Speriamo, ma lo chiediamo direttamente a lui a poche ore dalla partenza della Grande Boucle.
Moscon, penso spesso a quella Roubaix del 2021: ma che sfortuna però…
«È anche vero che altre volte sono stato più fortunato. Succede. Così è del resto il ciclismo, uno sport dove è più facile perdere che vincere. Alla fine, si va avanti e si guarda sempre avanti perché restare a guardare indietro non porta da nessuna parte. Quella Roubaix è un episodio andato così, se ne vinci un’altra te lo dimentichi. Se quella invece resta l’unica occasione della carriera, è chiaro che faccia male. Io sono comunque contento di quello che sono riuscito a raggiungere sono fortunato ad aver fatto quello che ho fatto».
Come sta?
«Tutto è andato bene fino ad ora, ho lavorato tanto per arrivare pronto al Tour, le sensazioni sono buone e quindi spero di riuscire a fare bene».
Lei viene da due anni complicati: aveva persino pensato si smettere. Come ci si rialza e si riparte da momenti così?
«Dopo un periodo così, che sembra che tutto un po’ ti crolli addosso, la forza la trovi dentro di te e pian piano senti che torni un po’ a ingranare. Nello sport diciamo che ci sono più momenti difficili che facili; sono uno abituato a tenere duro e a non mollare niente continuando a fare con passione il mio lavoro. L’unico che ti può aiutare sta dentro te stesso».
Se un anno fa le avessi detto che sarebbe tornato a fare il Tour de France, mi avrebbe preso per matto?
«Ma no dai. È il mio quinto Tour de France, ero qui anche lo scorso anno, magari al primo sei un po’ più emozionato perché ti fai impressionare dall’evento, ma adesso so cosa mi aspetta. Comunque, un po’ di emozione per questa partenza dall’Italia c’è».
Rispetto al Giro che corsa è il Tour?
«Si percepisce di più l’interesse attorno, l’immagine viene sfruttata di più e tutto è un po’ più esasperato, però anche al Giro ormai il livello è alto e dal punto di vista ciclistico tutta questa differenza non c’è. Quest’anno il percorso è duro, la quarta tappa da Pinerolo a Valloire presenta già il Galibier, ma penso anche che sia più bello partire subito con tappe difficili, così si stabilisce subito la classifica e ognuno prende poi il suo posto all’interno del gruppo. Quando i grandi giri iniziano con una settimana facile la classifica è corta e c’è più stress in gruppo. Qui le prime tappe emetteranno già i primi verdetti».
Che ambiente ha trovato alla Soudal-Quickstep?
«Un ambiente molto buono, familiare; non manca niente e si lavora bene».
Il suo capitano, Remco Evenepoel, come lo vede?
«L’ho visto molto bene, può fare un bel Tour. Anche lui è della partita con Vingegaard, Pogacar e Roglic per la vittoria finale. Sulla carta i favoriti sono loro quattro».
Vingegaard, al rientro dalla terribile caduta lo scorso aprile al Giro dei Paesi Baschi, ha dichiarato: «Per me è già un successo essere qua». Che ne pensa?
«Io penso che se è qua, è venuto per vincere. I numeri li ha. Quelle cose lì le dice ai giornalisti… (ride, ndr)».
Lei ha da poco compiuto trent’anni: questo Tour de France può essere l’occasione per il rilancio della sua carriera?
«Non la vedo così. Il livello si è alzato e bisogna anche saper ridimensionare i propri obiettivi, io sono contento della mia carriera. Come le dicevo, io sono qua per fare bene il mio lavoro e ritrovare buone sensazioni, poi però bisognerà pur fare i conti con gli altri. Questo è quanto».
Un amico stamattina mi ha detto: «Spero tanto nella rinascita di Gianni Moscon». Che gli dico, ci può contare?
«Ma sì dai, le dica che ci può contare. Nella vita si guarda sempre avanti, ed è quello che sto facendo. Ogni giorno che passa cerco di trovare un successo anche nelle piccole cose, altrimenti va a finire che non trovi mai un motivo per gioire».
In bocca al lupo, Gianni!
«Crepi!».