L'intervista
sabato 4 Febbraio, 2023
di Katia Dell’Eva
Nata a Milano e trasferitasi a Los Angeles nel 1997, Cinzia Angelini è una delle eccellenze trentine del cinema, grazie alle radici familiari. Sono trentini, infatti, i suoi genitori, così come, di conseguenza, sono ambientati tra le montagne molti dei suoi ricordi d’infanzia.
Regista e creatrice di film d’animazione, ha lavorato per alcuni dei maggiori studi internazionali, collaborando – come animatrice 2d e 3d e come story artist – con Warner Bros, Sony Imageworks, Disney, Dreamworks e Illumination Entratainment. Tra i suoi lavori più celebri Balto, Il principe d’Egitto, La strada per El Dorado, Spirit, Minions e Cattivissimo Me 3, nonché la sua opera originale Mila. Il corto del 2021, ispirato a fatti realmente accaduti a Trento nel 1943, racconta la guerra vista attraverso gli occhi di una bambina e nasce da un progetto di solo volontariato che ha coinvolto 350 artisti da 25 Paesi diversi, ottenendo oltre 60 premi in festival internazionali.
Angelini, a cosa sta lavorando, dopo «Mila»?
«Ho finito a maggio il primo lungometraggio nel ruolo di direttrice, “Hitpig”, e sto lavorando a dei film creati da me, uno dei quali è una commedia che parla dell’amore in tutte le sue forme, ambientata a Venezia. Ma anche il percorso con “Mila” non si è concluso: in Italia ha trovato distribuzione con la Rai, ma ora sto cercando un distributore internazionale, in quanto l’obiettivo è quello di farlo conoscere e vedere il più possibile. Il tema, certo, è difficile, ma come ci ha ricordato Guillermo del Toro ai Golden Globe, l’animazione non è una “cosa da bambini”, è una forma d’arte a tutti gli effetti, è cinema».
Come si è innamorata di questa forma d’arte? Come è diventata animatrice?
«Finito il liceo, ho fatto un corso di grafica pubblicitaria a Milano. Sapevo che volevo disegnare, ma non avevo ancora chiaro che cosa. Per caso quell’estate, tramite un’amica di mia madre che insegnava “live action”, ho scoperto questo settore, finendo di fatto per fare due scuole allo stesso tempo. Finiti gli studi, ho lavorato per un po’ in Italia, ma l’animazione, lì, era poco valorizzata – e ancora oggi, mi permetto di dire, meriterebbe più sostegno da parte del Governo: i talenti ci sono, ma se ne vanno tutti – Il mio stesso datore di lavoro, Giancarlo Carloni, alla Mix Film, mi disse: “Vai via”. Quindi andai prima a Londra, poi a Monaco, e poi arrivai negli Usa. Per nove anni ho lavorato nel 2d, per nove nel 3d e poi mi sono innamorata del processo di storyboard».
L’incontro più importante della carriera?
«Quello con uno dei miei idoli, James Baxter (animatore tra gli altri di Belle in “La bella e la bestia”, Quasimodo ne “Il gobbo di Notre Dame”, ma poi anche di personaggi in “La strada per El Dorado” e “Spirit” con Angelini, e ancor in “Dragon Trainer” e “I Croods”, ndr.). Lo considero fantastico nell’animazione 2d e da lui ho imparato moltissimo a livello tecnico».
E dopo questo lungo percorso, anche vario, quali considererebbe il suo più grande successo e il suo momento più difficile?
«Un primo successo è stato riuscire a sfondare, dall’Italia e come donna. L’animazione era tradizionalmente un mondo molto maschile, riservato al massimo ad un 7% di donne. Il secondo è stato indubbiamente “Mila”, un film della cui qualità vado orgogliosa, anche e soprattutto perché siamo partiti da zero e senza budget. Un aspetto negativo… non saprei, tendo a prendere positivamente anche quelli. Per esempio quando sono stata mandata via dalla Disney, in piena crisi del 2008 e incinta, non è stato semplice, ma mi sono reinventata nello storyboarding, quindi è finita bene».
C’è un’animazione a cui avrebbe voluto lavorare lei?
«Mi viene subito in mente “Il gigante di ferro”. Ma, se solo sapessi fare stop motion, anche Jack di “Nightmare Before Christmas”».
Lei è trentina solo di origine, essendo poi cresciuta a Milano. Cosa la lega a questo territorio?
«Mi sento in realtà più trentina che milanese: i miei sono originari di Trento e ogni momento in cui era possibile spostarsi, lo passavamo lì. Ancora oggi, pur vivendo in America, sento di avere un rapporto acceso col Trentino, emotivamente, personalmente, ma anche professionalmente. Non a caso “Mila” è ambientato nel capoluogo. Il progetto ha del resto anche avuto un forte sostegno dalla Trentino Film Commission ed è stato opening del Trento Film Festival. Anche per il futuro ho dei progetti legati alla mia terra di origine».