domenica 9 Febbraio, 2025
Cles, il convento diventa laico ma continua l’accoglienza francescana
di Francesca Dalrì
Si sta progettando un futuro interamente in mano ai laici. Il responsabile della comunità avviata nel 1984: «Siamo i primi in Trentino»
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Gli ultimi arrivati hanno varcato la soglia dell’ex convento francescano appena tre giorni fa: due famiglie pakistane giunte a Cles in cerca di un luogo sicuro. È la prima volta che la comunità avviata oltre quarantanni fa, il 17 dicembre 1984, si apre a questo tipo di accoglienza, ma non potrebbe essere altrimenti per una realtà in continua evoluzione, soprattutto in questa fase storica. Alle porte del rione Spinazeda, uno dei più antichi della borgata clesiana, si sta infatti scrivendo, ancora una volta, un pezzo di storia. Con tutte le fatiche che questo comporta.
L’addio dei frati nel 2020
L’ultimo capitolo di una storia iniziata nel lontano 1630 – quando la peste mieté le sue prime vittime a Caltron, frazione a nord di Cles, e la popolazione fece voto di costruire un convento se fosse stata preservata da quel flagello – è iniziato nel 2020. Davanti alla crisi di vocazioni, su decisione della «Provincia» dei frati minori del Nord Italia, a ottobre 2020 i seguaci di San Francesco hanno infatti lasciato il convento di Cles dopo 385 anni di storia (i primi nove frati arrivarono il 4 ottobre 1635). Una decisione presa anche nella convinzione che la comunità e l’azienda agricola in cui lavorano le persone accolte fossero ormai in grado di camminare sulle proprie gambe. «Entro quest’anno dovremo arrivare a una nuova forma giuridica con cui portare avanti le attività: lo statuto è in via di definizione, dobbiamo scegliere il nome, che vorremmo ricordasse l’origine legata ai frati – ci spiega il responsabile della comunità Andrea Cattani –. Il cambiamento non è facile perché le previsioni del diritto canonico sono differenti da quelle del diritto civile e in Trentino è la prima volta che qualcuno prova a trasformare un’esperienza religiosa in una laica. In un certo senso siamo degli apripista, nostro malgrado». Per affrontare questo passaggio nasceranno tre nuove realtà: l’associazione «Amici del convento», già operativa da più di un anno e che si occupa di tenere aperta la chiesa e promuovere all’esterno attraverso concerti e mostre i beni artistici e religiosi del convento; una cooperativa sociale che gestirà la comunità di accoglienza e un’impresa agricola per i tremila metri quadrati di serre e campi e la vendita di piante e fiori al pubblico. «La cooperativa sociale – spiega Cattani – sarà il socio unico dell’impresa agricola. Ciò ci permetterà di garantire anche in futuro la scelta, presa dai frati, di porre l’attività agricola a servizio delle persone accolte in comunità, che vi lavorano e che così possono entrare in contatto con una società da cui per troppo tempo si sono sentiti esclusi». Uno degli aspetti che ha richiesto tempo e fatica ma che oggi contraddistingue questa realtà è infatti il continuo scambio tra esterno e interno. All’inizio, quando nel 1983 alcuni giovani frati proposero di aprire il convento alle nuove povertà quali l’abuso di droghe e alcool, l’emarginazione sociale, i problemi psichici, ci fu una sollevazione popolazione contro l’idea di concentrare a Cles tutte queste fragilità. Fu solo grazie al sostegno di personaggi come i sindaci di Cles e Tuenno Giacomo Dusini e Maria Menapace e al primario di igiene mentale di Cles Renzo Destefani che il progetto si realizzò. «Nel tempo la borgata si è affezionata molto alla nostra comunità e a dimostrarlo oggi sono i numeri: per acquistare nelle nostre serre ogni anno varcano il cancello d’ingresso trentamila persone. E per chi accogliamo incontrare all’interno il mondo esterno è un’esperienza di rinascita».
«Servono più educatori»
Ora, anche senza frati, il convento continuerà ad accogliere guardando non al problema in sé, ma alla persona e alle sue possibilità di rinascere in un contesto comunitario e di sobrietà. Qui vengono accolti uomini adulti per un’esperienza residenziale che di solito va dai sei mesi ai due anni di tempo. Ad oggi sono ospitate otto persone, più le due famiglie pakistane. La comunità è però accreditata a livello provinciale per ospitare fino a 16 persone residenti in Trentino. Il tema in questo momento è tuttavia la carenza di personale. «Avremmo bisogno almeno di tre educatori a tempo pieno in più – taglia corto Cattani –. Da parte nostra c’è tutta la volontà ad assumere persone a tempo indeterminato che si formino e crescano con noi, ma trovarle sta diventando un’impresa: la prossima settimana inizierà a lavorare una persona che ha più di 60 anni. Giovani non se ne trovano. Sicuramente il lavoro su turni e con persone che nella vita ne hanno passate di tutti i colori non è semplice perché ci costringe a fare i conti con le nostre parti irrisolte. Questo è però anche un lavoro bellissimo: qui abbiamo a che fare con la speranza delle persone, di cui abbiamo innanzitutto il dovere della cura, non della guarigione. Insomma, la nostra è una realtà con un grandissimo potenziale che però sta soffrendo importanti fragilità organizzative in un passaggio epocale in cui servirebbe invece una base solida». Quello di Cattani è dunque un appello all’esterno. «Non nascondo che abbiamo già ricevuto avance da altre realtà sociali più grandi: l’addio dei frati ha attirato l’attenzione – afferma –. Sicuramente la gestione da parte di un’organizzazione più grande ci semplificherebbe la vita, ma noi proveremo fino all’ultimo a mantenere vivo il progetto voluto dai frati quarant’anni fa».