Terra madre
domenica 26 Novembre, 2023
di Simone Casciano, Margherita Montanari, Francesca Dalrì, Tommaso Di Giannantonio
Alla ricerca del sottile e fragile equilibrio tra sostenibilità economica e ambientale, con la consapevolezza che la seconda è fondamentale per garantire la prima nei territori di montagna vocati al turismo e allo sci. L’aumento delle temperature determina meno precipitazioni nevose in quota, ma anche lo scioglimento più veloce di quella che si deposita. Questo a sua volta rende necessario ricorrere maggiormente all’innevamento artificiale che ha un suo costo energetico, facendo quindi aumentare le emissioni e quindi il riscaldamento globale. Che uscire da questo circolo vizioso sia la sfida del presente, per garantire un futuro alle terre alte, lo sanno bene sia Bruno Felicetti, direttore generale di Funivie Campiglio e Michele Nardelli ex consigliere provinciale e autore di Inverno Liquido, un libro che pone al centro questa problematica e grazie al quale Nardelli in questi mesi ha girato per le terre alte del Trentino e dell’Italia animando un acceso confronto sul tema. Acceso ma cordiale come quello che ha avuto luogo tra i due, durante il forum di Terra Madre.
Cosa si intende per «Inverno liquido»? In che modo le imprese si affacciano a questo scenario?
Nardelli: «L’inverno è sempre più liquido perché nevica sempre meno e il freddo stenta ad arrivare. Questo rende difficile ogni previsione rispetto a quello che accadrà a seguito del cambiamento climatico e richiede un ripensamento dei territori e delle economie che li sostentano. Specie in quei territori dediti alla monocultura del turismo invernale il rischio è che, se essa entra in crisi, a sprofondare sia l’intero sistema. Tutti i decisori sono chiamati ad avere una nuova prospettiva. Ciò che prima accadeva in ere geologiche oggi accade in poco tempo».
Felicetti: «Siamo tutti consapevoli del cambiamento in atto e della sua natura antropica legata alle emissioni di CO2. Se non invertiamo questo trend nei prossimi trent’anni la situazione è preoccupante. Il cambiamento va fatto a livello globale, penso a Cina e India, ma anche noi come imprese dobbiamo dare il nostro contributo. Abbiamo avviato vari progetti per ridurre il nostro impatto e le nostre emissioni. Il primo obiettivo è stato quello di andare a prendere energia pulita e certificata per il nostro fabbisogno. Resta il problema dei gatti delle nevi, che sono alimentati a diesel. Sono tre anni che tentiamo di acquistarne uno ad idrogeno o elettrico ma non sono ancora pronti per lavorare sui nostri pendii. Cerchiamo di limitare al massimo anche l’uso della neve programmata e la spianiamo in maniera attenta con i nostri gatti. Questo ci ha portato a ridurre le nostre emissioni del 30%, ma non ad azzerarle».
E per quello che resta?
Felicetti: «Ci sono 40mila tonnellate di CO2 che non riusciamo a comprimere. Per quello lavoriamo sulla compensazione, comprando crediti di carbonio. Pinzolo per esempio ha compensato le sue emissioni extra finanziando una centrale idroelettrica in India. Finanziamo così un accesso più pulito all’energia nei paesi emergenti senza che facciano i nostri stessi errori. Poi stiamo portando avanti un progetto con le Asuc compriamo gli alberi affinché non vengano tagliati in un momento in cui i boschi sono già provati dal bostrico. In questo modo garantiamo le entrate alle Asuc ma salvaguardiamo gli alberi».
E quali sono le strategie per il futuro?
Felicetti: «Consapevoli dell’inesorabile cambiamento cerchiamo dentro di esso le opportunità che ci sono, cambiando il nostro modello di business. A lungo le località sciistiche hanno pensato che l’inverno fosse la prima e unica opportunità di sviluppo, oggi abbiamo scoperto che l’estate può essere ancora più forte. Ad oggi Funivie Campiglio fa il 95% del suo fatturato sull’inverno. Ma le nostre analisi di mercato ci dicono che la domanda estiva è in aumento e lì per noi la marginalità è doppia rispetto all’inverno. Vogliamo raggiungere un rapporto 70%/30% in futuro, quello sarà il nostro equilibrio. Così ci potremo permettere di perdere segmenti di inverno. Penso all’inizio e alla coda della stagione. A livello di presenze turistiche siamo già al 60%/40%. Andalo si è mosso prima di tutti e ha già un fatturato estivo che si avvicina al nostro obiettivo».
Nardelli queste misure aiutano a contrastare l’«Inverno liquido»?
Nardelli: «Quello esposto da Felicetti è un piano di adattamento al riscaldamento globale, manca invece la volontà di cambiare radicalmente il paradigma economico di questi territori. Manca il riconoscimento che ci siamo spinti troppo oltre e dobbiamo rientrare dentro un’impronta ecologica sostenibile. Torniamo ai dati, per ogni grado di aumento la quota in cui la neve è affidabile sale di 150 metri. Stiamo già andando verso un aumento di due gradi ed è sempre più probabile quello dei tre. Quindi parliamo di un innalzamento di 450 metri. Fosse così buona parte degli impianti sciistici non riuscirebbero più a restare operativi. Sotto i 2mila metri va ripensato completamente il modello. Anche il fatto che le vacanze siano sempre più concentrate in certi periodi genera sovraffollamento in montagna, mettendo in crisi il modello. Non basta tamponare il problema, servono soluzioni generali».
Felicetti: «Credo che il libro faccia un’ottima fotografia di programmazioni che non hanno funzionato. Sbaglia chi applica il modello Campiglio a contesti diversi. Però la nostra è una skiarea che funziona, che conta su 36mila posti alberghieri, imprese che hanno il diritto di esistere. Poi ci sono 80mila seconde case e quando queste si riempiono il sistema va in crisi. Sicuramente quelle sono state un errore. Nel libro leggo di un cambio di paradigma, ma non trovo soluzioni».
Nardelli: «Non abbiamo detto che si debba rinunciare al turismo invernale, ma che bisogna andare verso un riequilibrio, perché l’industria dello sci tende a fagocitare».
Sul tema dei consumi pesa anche l’acqua.
Felicetti: «Al momento preleviamo dai fiumi quella in eccesso in rispetto del deflusso minimo vitale. Si tratta di un prestito però perché la neve poi torna acqua. Per noi avrebbe senso realizzare un bacino artificiale a Campiglio».
Nardelli: «Secondo me no perché prima o poi l’acqua dovrai prenderla da più lontano facendo crescere i costi».
Ci sono esempi vincenti di riconversione radicale?
Nardelli: «Certo, penso alla Val di Funes. Però è un modello costruito su numeri ben diversi dalle nostre ski area. Un turismo fatto di relazioni, in rapporto diretto con le comunità».
Felicetti: «Ci sono valli, penso a Fiemme, dove lo sci è un’integrazione ad un tessuto economico più diversificato. Ma se penso alla val di Fassa mi sembra difficile, a Campiglio quasi impossibile. Penso però che nel resto della Rendena si sia abbandonata l’illusione di “fare come Campiglio” e ora abbiamo vigne, agritur, le Case da mont e altre attività. Il turismo va concentrato in alcune aree specializzate in cui non ci sono alternative, viceversa va integrato ad altre attività economiche».
Prevedete nuovi impianti? Magari più in quota?
Felicetti: «Ormai gli impianti sono definiti. Di sicuro vogliamo investire per riammodernare quelli vecchi in modo da farli lavorare meglio d’estate, penso ad esempio alla cabinovia del Grostè che deve lavorare 8 mesi l’anno. Se ci sarà qualche nuovo impianto sarà solo per evitare i colli di bottiglia che si verificano sui nostri impianti in alcune località».
Per quello avevate anche previsto un tetto massimo agli skipass.
Felicetti: «Si ci avevamo pensato, con l’idea di metterlo nelle nostre giornate da “bollino nero”. Però gli impianti sono anche un servizio pubblico quindi su questa cosa abbiamo chiesto un approfondimento legale e nel frattempo non lo faremo. Per evitare gli ingorghi nelle giornate dal 28 al 31 dicembre e dal 2 al 5 gennaio di aprire gli impianti un’ora prima alle 7.30. Speriamo così di spalmare le presenze».
Questa crescita del turismo estivo come la immagina?
Felicetti: «Gli impianti saranno determinanti perché quello che abbiamo visto è che il turista vuole camminare poco, massimo una o due ore, e per lo più su un percorso pianeggiante e noi glielo dobbiamo rispondere alla domanda che ci arriva».
Nardelli: «Però così si perde il valore pedagogico della montagna, della fatica. Io credo davvero che la domanda sia determinata anche dall’offerta. Se investiamo in un’offerta diversa, se sfidiamo il turista sono convinto che possiamo modificare le sue aspettative e le sue abitudini. Preservando al contempo la montagna».
Che investimenti vorreste vedere nei prossimi dieci anni?
Felicetti: «Come già detto abbiamo l’esigenza di sostituire impianti già esistenti che sono a fine mandato. Spinale, Pradalago e Grostè sono impianti per 67 milioni di investimenti. Un secondo investimento sarà togliere il collo di bottiglia all’altezza della Fortini».
Nardelli: «Più che investimenti nei prossimi 10 anni vorrei vedere un cambio di prospettiva. Bisogna cominciare a riconoscere la fragilità dell’ecosistema montano. C’è un problema di fare delle terre alte un terreno di riflessione che investe anche il rapporto tra genere umano e natura. Prendendo anche scelte dolorose. Privilegiando la dimensione della qualità rispetto alla quantità, che è già una scelta di fondo. Mi piacerebbe vedere anche un ruolo più attivo della Fondazione Dolomiti Unesco nella loro salvaguardia».
Nella foto da sinistra: Bruno Felicetti direttore generale di Funivie Campiglio e Michele Nardelli autore
di Inverno Liquido
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