TerraMadre
domenica 2 Giugno, 2024
di Simone Casciano
È una sfida quella che Clima3T, l’associazione universitaria ambientalista che punta alla decarbonizzazione dell’ateneo, lancia all’Università di Trento: scrivere un piano di sostenibilità capace di raggiungere gli obiettivi europei prefissati per il 2030, ossia ridurre le proprie emissioni almeno del 55%.
La sfida climatica, scriveva lo scrittore Paolo Giordano, ci richiede un cambiamento nel paradigma del progresso. Abituati da tempo a miglioramenti graduali, fatti a piccoli passi, il repentino aumento delle temperature richiede invece «salti quantici». Cambiamenti, in meglio, drastici che siamo chiamati tutti ad attuare: singoli, amministrazioni pubbliche, aziende private e anche gli atenei. Ed è proprio un salto quantico quello che Clima3T chiedere all’Università di Trento di compiere pubblicando il suo nuovo report sullo stato della decarbonizzazione dell’ateneo. «Questo documento nasce con l’intento di denunciare apertamente 2 anni di inerzia istituzionale di fronte alle nostre richieste di decarbonizzazione dell’ateneo – scrivono gli attivisti – Azioni che peraltro dovrebbero prescindere dall’insistenza di un’associazione studentesca».
Quali sono gli elementi più importanti del vostro nuovo report?
«In questo report abbiamo aggiornato lo stato degli obiettivi di sostenibilità che come Clima3T chiediamo all’Università di Trento di attuare per ottenere la decarbonizzazione dell’ateneo. Sono le strategie che ci siamo prefissati fin dalla nostra fondazione e attraverso le quali crediamo che Trento possa diventare un modello per tutte le altre università d’Italia e d’Europa. Il report si prefissa tre obiettivi: il primo è aggiornare sullo stato dei lavori. Abbiamo quindi pubblicato lo stato di avanzamento su tutti gli obiettivi: energia, trasporto, cibo, rifiuti e educazione. Non solo abbiamo delineato meglio gli obiettivi e come raggiungerli, dopo un confronto con esperti del settore e tecnici amministrativi di altri atenei che stanno facendo percorsi analoghi, ma abbiamo anche reso noto come l’ateneo ha risposto alle nostre sollecitazioni. Il secondo aspetto importante all’interno del rapporto è che rendiamo pubbliche le interazioni che abbiamo avuto con l’università e con il green office, l’ufficio deputato a realizzare le politiche di sostenibilità dell’ateneo. Con il green office abbiamo avuto un’interazione positiva per alcuni aspetti e meno per altri. Abbiamo apprezzato il supporto e la disponibilità a ristrutturarsi per funzionare meglio. Questo all’inizio ci ha dato molta speranza, ma riscontriamo che alla fine nella sostanza non abbiamo visto miglioramenti significativi».
Come si è ristrutturato il green office?
«Dopo il nostro vecchio report, si è organizzato per tavoli di lavoro tematici che corrispondono agli obiettivi prioritari che abbiamo individuato: energia, trasporto, cibo, rifiuti e educazione. E questo è positivo, il problema è che i vari tavoli in un anno si sono incontrati al massimo 3 volte. Così non è possibile nemmeno fare la pianificazione degli obiettivi, figuriamoci delineare piano concreti. Noi abbiamo chiesto più incontri, ma non abbiamo ricevuto risposta».
Il terzo obiettivo del report?
«Chiedere un cambio di rotta. Vogliamo ribadire che non è tardi per agire, anzi proprio quest’anno l’università deve redigere il suo piano di sostenibilità 2025/27, l’occasione perfetta per mettere nero su bianco quelle strategie che permetteranno all’ateneo di centrare l’obiettivo europeo 2030 che si è prefissato: ridurre le emissioni del 55%».
In questo quadro la partita energetica è la più importante?
«Assolutamente, il sistema di riscaldamento dell’ateneo a gas naturale è la sua prima voce di emissioni di CO2. Grazie anche alle nostre pressioni l’ateneo ha commissionato uno studio sulle sue emissioni. È una cosa positiva, il problema però è che adesso sta posticipando qualunque azione alla pubblicazione del bilancio. Ci hanno detto che sarebbe arrivato a marzo e ormai siamo a giugno. Ma in ogni caso non dovrebbe frenare il lavoro: sappiamo che il riscaldamento è la principale voce di emissioni e che la soluzione è l’elettrificazione. Sappiamo anche che è molto costoso, ma proprio per questo è necessario muoversi con urgenza e in sinergia con la Provincia per intercettare i fondi necessari ad un intervento inderogabile. Abbiamo proposto in prima persona soluzioni e contatti, ma quello che abbiamo trovato è stata una partecipazione ridotta, arida rispetto alle nostre proposte, rispetto ai contatti e alle opportunità che presentavamo».
Quali sono gli altri obiettivi e qual è la situazione?
«Sul fronte del cibo sappiamo che le mense sono gestite da Opera Universitaria, ma chiediamo all’ateneo di farsi intermediario in vista dei prossimi bandi di gestione. Serve più attenzione a una proposta che presenti meno carne, ora compone il 70% dell’offerta, e più attenta ai prodotti a chilometro zero. Crediamo si possa fare di più per i trasporti: la libera circolazione andrebbe estesa agli studenti lavoratori e anche al personale per incentivarli a non spostarsi in macchina. Sui rifiuti denunciamo che l’ateneo fatica a separare bene i vari materiali producendo più residuo di quanto dovrebbe. Infine continuiamo a chiedere una maggiore centralità dello studio del cambiamento climatico all’interno dell’università».
Ritenete sia necessaria una nuova ristrutturazione del green office?
«Si chiediamo che ai professionisti che partecipano ai tavoli sia riconosciuto l’impegno come ore di lavoro. Inoltre crediamo sia necessaria l’assunzione di un sustainability manager, un professionista che si occupi a tempo pieno del tema. Infine riteniamo che i tavoli debbano incontrarsi più spesso. Ogni due settimane o almeno una volta al mese».