L'intervista

giovedì 20 Marzo, 2025

Comuni monolista e pochi candidati, Panizza (Patt): «La politica è vissuta come una cosa sporca. I giovani pensano che possa danneggiarli»

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L'autonomista da sempre è stato l'animatore delle liste, ma ora i tempi sono diversi. «Ora non trovi nessuno, non trovi giovani che si impegnano perché si è creata l’idea che esporsi politicamente sia dannoso»

Da buon autonomista, Franco Panizza ha sempre puntato tutto sul territorio, sull’ente che più lo rappresenta, il Comune. Ed è davvero preoccupato che siano sempre di più i Comuni in cui si presenta una sola lista, un solo sindaco, con il rischio commissariamento se non si raggiunge il quorum del 40%. La vive come una sconfitta della politica, che lui ha sempre inteso come massimo servizio alla comunità: «Ora non trovi nessuno, non trovi giovani che si impegnano perché si è creata l’idea che esporsi politicamente sia dannoso».

Dannoso per chi, per cosa?
«Per sé stessi, per il proprio lavoro, per i rapporti sociali. Fa paura l’esposizione eccessiva».

Che c’è?
«Se si è una persona esposta politicamente, questa è la dicitura, ti viene chiesto anche in banca quando devi aprire un conto corrente. Mi è capitato di vedermi rifiutata in prima battuta una polizza per la non autosufficienza. Insomma, non vieni incoraggiato a metterti al servizio della tua comunità, tutt’altro. E chi sono i più accaniti nello scoraggiare chi si volesse candidare e impegnarsi come consigliere, assessore o sindaco?».

Ce lo dica lei.
«Sono i datori di lavori. Sono i mariti, sono le mogli. Hanno paura delle ripercussioni negative. Chi vince la competizione è inviso a chi perde, e viceversa. E allora si teme che i rapporti con amici e parenti si incrinino. E una ditta teme di perdere clienti se un dipendente è schierato con una o con l’altra parte».

Addirittura?
«Faccio l’esempio di alcune Casse Rurali, che vietano ai loro dipendenti di assumere cariche pubbliche se vogliono rimanere in servizio. O i sindacati, o le categorie economiche: se ti candidi devi abbandonare il tuo ruolo, la tua carica. Devi dimetterti. Come se candidarsi fosse un fattore che preclude oggettività nello svolgimento delle proprie funzioni».

Alcune precauzioni servono per evitare conflitti di interesse.
«Ma a volte c’è un’esagerazione. Sembra che la politica sia vista come una cosa negativa. Anzi, è così. Ma se vogliamo che le comunità continuino ad autogovernarsi con i propri consigli comunali, con i propri sindaci, dobbiamo impegnarci tutti a bloccare questa narrazione che descrive il politico come una persona di cui non ci si può fidare».

Questa diffidenza l’ha vissuta sulla sua persona di esponente politico?
«L’ho vissuta quando sono tornato al lavoro in Provincia, una volta terminato il mio impegno nelle istituzioni. Subito una pioggia di interrogazioni per sapere cosa facessi, dove fossi, che incarichi avessi. Nemmeno il politico che torna al proprio lavoro viene lasciato in pace, ma continua a essere messo in prima pagina, alla gogna».

Dice che tutto questo scoraggia a prendersi impegni?
«Torniamo alla narrazione che la politica è cosa sporca. Dobbiamo mettere un freno a questa mentalità. Certo, se i politici si fossero comportati sempre bene, se non ci fossero stati gli scandali della corruzione, questa immagine non ci sarebbe. Ma non si deve generalizzare, e si fa troppo spesso. Sempre».

Non è troppo negativo?
«Racconto un episodio che è emblematico. Quando fui eletto in Consiglio provinciale per la prima volta, con la mia famiglia avevamo festeggiato. Mio nipote aveva vissuto questo momento e alla maestra raccontò che lo zio era stato eletto, che faceva il politico. La maestra gli disse che non era una cosa bella, una cosa di cui vantarsi avere uno zio in politica. Lui ci rimase male. E anch’io a dire il vero».

Oltre alla narrazione negativa sulla politica e sui politici, ci sono altri freni alla partecipazione?
«La legge elettorale, una legge esagerata che dà tutto alla maggioranza e nulla alla minoranza che non riesce a incidere. Anche questo è scoraggiante».

Anche lei vorrebbe un ritorno al proporzionale?
«Lo vorrei ovunque, dalla Provincia ai Comuni. Dicevano che non garantisce la stabilità, ma obbliga alla mediazione, alla politica. E con il proporzionale c’è maggiore confronto, maggiore condivisione, e quindi anche maggiore partecipazione. Poi un’ultima cosa».

Quale?
«I cambi di casacca, il malcostume di lasciare un partito per andare in una altro. La gente non lo approva, e così si disaffeziona alla politica».