La storia
martedì 25 Ottobre, 2022
di Davide Orsato
Lunedì pomeriggio, la tappa è il cimitero. Angela ci passa spesso: «Molti dei miei amici sono qui. Ci conoscevamo in corsia, all’ospedale. Si creavano legami intensi. Percorrevamo assieme un pezzo di vita». Spesso era breve. Il «pezzo di vita» di Angela Trenti, invece, è arrivato al traguardo dei 51 anni. Abbastanza da farne la paziente più longeva di Fibrosi cistica in provincia di Trento una delle più «grandi» in Italia. Una condizione che, per lei, è diventata anche un impegno, che ora si esprime nella presidenza della Lega Italiana Fibrosi Cistica Trentino.
La speranza di vita di un paziente con fibrosi cistica è di 21 anni. Come si sente ad aver superato questa soglia di tre decenni?
«È un risultato che, quando ero piccola, si faticava molto a immaginarsi. Siamo partiti dal niente, non c’erano nemmeno farmaci specifici per curarci».
Quando ha avuto la diagnosi?
«Avevo tre anni, naturalmente non lo ricordo. Da che ho memoria ho sempre convissuto con la malattia».
Ha visto quasi mezzo secolo di innovazione nella medicina… Che passi in avanti sono stati fatti?
«È cambiato tutto. Quando ero bambina non c’erano nemmeno i farmaci per produrre gli enzimi che ci mancano a causa dell’insufficienza del pancreas. I mal di pancia erano terribili. Poi sono arrivati i farmaci endovena e, poi, quelli somministrati via aerosol. Sembrava una magia».
Altro passo importante nel giugno del 2021. L’Aifa ha approvato i primi farmaci su base genetica, in grado di intervenire non sulla sintomaticità ma di andare all’origine della malattia…
«Fanno lavorare le nostre cellule. Sono stata tra le prime persone ad assumerli, già ad agosto. Da allora la mia vita è cambiata».
In che modo?
«Arrivavo dall’ennesimo, lungo ricovero. Ero stata all’ospedale a lungo, ed ero stata male. Nel giro di dieci giorni la mia spirometria aveva guadagnato dieci punti percentuali. Un risultato incredibile».
Da allora come va?
«Non ci sono solo lati positivi. Le nuove medicine hanno aggiustato i miei polmoni, ma mi hanno causato forti dolori alla muscolatura. Sono state necessarie diverse calibrazioni. Ad altri non danno problemi. C’è da dire che, tra età e costituzione fisica, sono molto magra, non posso rappresentare esattamente un caso scuola. Per la prima volta, però, riesco a parlare a lungo senza essere sopraffatta dalla tosse. In un primo momento, mio padre si è addirittura preoccupato, chiedeva “ma Angela è in casa?”, perché non mi sentiva tossire la notte».
Lei fa molto sport, l’ha aiutata nella vita?
«Posso dire di essere viva grazie allo sport. Lo devo al professor Gianni Mastella (uno dei primi medici italiani a specializzarsi nella cura della fibrosi cistica, fondò il centro di Verona, ndr). Da bambina mi diceva: “Forza, metti gli sci ai piedi, anche se hai la febbre”. Ora faccio prevalentemente cicloturismo: mi porto dietro la CPAP (una maschera facciale per la terapia respiratoria, ndr) e un frigo alimentato a celle fotovoltaiche, per i farmaci.
Le nuove terapie l’hanno aiutata anche nell’attività fisica?
«Sì, prima quando tornavo a casa dopo un giro dovevo mettere in conto due giorni di febbre. Adesso riesco a fare più cose, ma non sono così a mio agio nel parlarne».
Perché?
«Perché ci sono ancora molti pazienti che non possono avere accesso a queste cure. Dipende dalla mutazione genetica: circa il 40% ne è escluso. Mentre molti sono tornati a sperare, alcuni continuano a soffrire. Ma so che la ricerca ci sta lavorando: non vogliamo più vedere mamme piangere perché i loro figli “non ce la fanno”. Dobbiamo arrivare a una vita normale per tutti, alcuni sono riusciti ad avere bambini: un tempo era impensabile».
Com’è la presa in carico dei pazienti in Trentino? Lunedì è stata annunciata la riorganizzazione del reparto di pediatria di Rovereto con un nuovo percorso e nuovi servizi, migliorerà le cose?
«Sì, è un percorso che hanno fortemente voluto le associazioni e l’azienda sanitaria e che è stato reso possibile anche grazie a donazioni. Il nostro centro di riferimento è sempre stato Verona, il principale in Italia, che è fortunatamente vicina, ma negli ultimi anni i servizi si sono moltiplicati, con una maggiore assistenza».
Veniamo da due anni di emergenza Covid. Se ci sono pazienti “fragili” siete proprio voi affetti da fibrosa cistica. Vi sentite dire che il pericolo che è scampato?
«Abbiamo avuto molta paura. Per noi è un problema già un raffreddore, a marzo 2020 eravamo spaventatissimi. Paradossalmente invece ci siamo ammalati in pochissimi: le mascherine, il distanziamento, per noi erano abitudini. Grazie all’attivismo delle nostre associazioni abbiamo avuto la corsia preferenziale per il vaccino, nonostante in un primo momento ne fossimo rimasti esclusi. Adesso le precauzioni stanno venendo meno, ma noi dobbiamo continuare a proteggerci. Ho capito che deve essere una cosa che faccio io: evito le folle, vado al supermercato quando c’è meno gente. Ma, in generale, più attenzione da parte di tutti ci farebbe sentire più sicuri».