Crisi Climatica
martedì 15 Novembre, 2022
di Eleonora Cogo, Marzio Fait, Roberto Barbiero
Siamo entrati nel vivo della seconda settimana della Cop27, la conferenza delle Nazioni unite sui cambiamenti climatici. Questa edizione, ospitata dall’Egitto a Sharm el-Sheikh, si svolge in un contesto internazionale e geopolitico aggravato dalla guerra in Ucraina. Un conflitto che ha sconvolto i mercati energetici e che ha portato a un drammatico aumento dei prezzi dei prodotti alimentari e delle materie prime.
Il 2022, inoltre, è stato un anno caratterizzato da innumerevoli eventi meteorologici estremi come le inondazioni in Pakistan e le ondate di calore che hanno colpito Europa e Cina. Eventi che hanno determinato spesso degli impatti sociali ed economici devastanti sui Paesi più vulnerabili e privi di risorse finanziarie, pregiudicando ulteriormente il rispetto dei diritti essenziali come l’accesso al cibo e all’acqua.
Per questo motivo, i temi legati all’adattamento e alla giustizia climatica hanno assunto un ruolo di centrale importanza per la Cop27.
La novità principale di questa edizione consiste nell’inserimento, all’interno dell’agenda negoziale, di un punto di discussione legato alla finanza, e in particolare alla questione «Loss and damage», ovvero all’introduzione di misure specifiche per far fronte a quelle perdite e a quei danni causati dal cambiamento climatico a cui i Paesi in via di sviluppo non sono in grado di adattarsi. Per il momento non c’è stato alcun accordo sul testo, ma le consultazioni continueranno anche in questa seconda settimana.
Così come nella seconda settimana verranno avanzate delle considerazioni sul «Santiago network», una rete istituita per raccogliere assistenza tecnica a favore dei Paesi in via di sviluppo e attuare delle misure per ridurre l’impatto dei cambiamenti climatici.
A questo proposito, nei prossimi giorni andranno avanti anche i negoziati relativi all’adattamento ai cambiamenti climatici, un tema prioritario in particolare per i Paesi africani.
Quello che manca nell’agenda delle parti, però, è una discussione relativa all’obiettivo degli 1,5°C: quella soglia di riscaldamento che nei prossimi decenni non dovremmo superare se vogliamo evitare l’insorgere di fenomeni climatici estremi (l’aumento delle temperature medie entro la fine del secolo dovrebbe rimanere al di sotto di 1,5 gradi rispetto ai livelli preindustriali). Una lacuna a cui sarebbe il caso di sopperire. Come affermato nell’«Emission gap report» dell’Unep (il programma delle Nazioni unite per l’ambiente) la temperatura globale rischia di salire oltre i 2,5°C nei prossimi anni se non verranno assunti impegni più ambiziosi in tema di mitigazione e quindi di riduzione delle emissioni di gas serra. Una previsione confermata dal Climate action tracker, che riporta come i nuovi investimenti di espansione legati all’utilizzo di gas naturale liquefatto rischino di compromettere definitivamente il target dell’1,5°C. In base agli impegni attuali adottati dalla maggior parte dei Paesi per contrastare il cambiamento climatico, c’è infatti il 66 per cento di probabilità che il riscaldamento tocchi un incremento tra 2,4°C e 2,6°C entro fine secolo. Una prospettiva catastrofica che necessità assolutamente di contromisure adeguate.
Sebbene i negoziatori siano alla ricerca di un testo finale che possa soddisfare le necessità dei Paesi in via di sviluppo e che possa dimostrare la crescente ambizione dei negoziati, possiamo affermare che per il momento sono pochi i progressi compiuti dalle parti in questa prima settimana. Le trattative procedono lentamente. Sono ancora numerosi i dettagli tecnici irrisolti su come mantenere gli impegni presi negli anni precedenti in termini di mitigazione e finanza climatica. Inoltre, deve ancora prendere forma la «cover-decision», ossia la decisione finale al centro dell’accordo politico delle due settimane di lavori.
Una svolta potrebbe arrivare da Bali, in Indonesia, dove tra oggi, 15 novembre, e mercoledì, si svolgerà il G20: ogni annuncio o decisione presa dai leader delle grandi economie mondiali potrebbe avere un impatto determinante sui negoziati egiziani. In particolare, gli occhi sono puntati su Joe Biden e Xi Jinping, che torneranno a incontrarsi dopo molto tempo e che sicuramente avranno modo di confrontarsi su quello che sta accadendo a Sharm el-Sheikh.
Intanto, però, dai commenti dei principali network e tra i corridoi della «Blue zone» della Cop si registra la novità di una più netta comunione di intenti tra Paesi del Sud del mondo in tema di adattamento e finanziamenti. Un’unità, questa, figlia delle disastrose vicende pakistane e del diffuso senso di frustrazione dei Paesi più colpiti dai cambiamenti climatici, ma soprattutto del lungo lavoro diplomatico ordito da cinesi, indiani e rappresentanti di alcuni Stati di peso africani. Una compattezza che potrebbe portare a qualche sorpresa inattesa nei documenti di chiusura della Cop27, soprattutto in tema di finanza. Nei prossimi giorni, infatti, potrebbero emergere degli impegni scritti nero su bianco che darebbero il via a un ulteriore giro di trattative tecniche che si concluderebbe solo con la Cop29.
Le delegazioni stanno lavorando in queste ore per chiudere il lavoro tecnico e passare la palla ai referenti politici, che avranno poi il compito di giungere a un consenso sui documenti per ora in bozza.
Per l’Italia è già presente a Sharm el-Sheikh il nuovo ministro dell’Ambiente e della Sicurezza energetica Gilberto Pichetto Fratin, ora al lavoro con la delegazione dell’Unione europea, che ci rappresenta formalmente nelle negoziazioni.
Se non è possibile illudersi su un sostanziale avanzamento in tema di mitigazione, la speranza è di avere buone notizie in tema di adattamento.
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