cronaca

martedì 2 Luglio, 2024

Costretti dai datori a lavorare 13 ore al giorno e a inviare parte dello stipendio in Pakistan: nei guai una ditta della Vallagarina

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I lavoratori erano anche obbligati a pagare vitto e alloggio per un totale di 450 euro, percependo uno stipendio di 500 euro

I Finanzieri del Comando Provinciale di Trento hanno disposto il sequestro di beni e disponibilità finanziarie per oltre 521 mila euro, nei confronti di 7 cittadini pakistani e un’italiana per l’ipotesi di reato di intermediazione illecita e sfruttamento della manodopera e di violazione delle norme sull’immigrazione.
Secondo la ricostruzione delle indagini per il periodo che va dal 2020 al 2023, i gestori di una società con sede in Vallagarina, operante nel settore della produzione di carta e cartone, abusando dello stato di bisogno di diversi dipendenti, determinato dalla necessità per gli stessi di ottenere un permesso di soggiorno per motivi lavorativi e riuscire a mantenere in Pakistan la propria famiglia di origine, li hanno sottoposti in condizioni di sfruttamento sul lavoro.
Dalle complesse investigazioni, eseguite mediante attività tecniche, mirati accessi e perquisizioni, escussione in atti di diversi testimoni ed indagini finanziarie, emerge che, benché i lavoratori risultassero assunti mediante contratti part–time, in realtà erano costretti ad accettare turni lavorativi, dalle 9 alle 13 ore giornaliere, di gran lunga superiori sia al limite legale delle 48 ore settimanali sia a quello delle 250 ore di straordinario annuo.
Il rinvenimento di un «libro mastro» e della copiosa documentazione extracontabile tenuti dagli indagati, ha permesso di ricostruire una serie di numerose irregolarità.
Infatti, a fronte di una busta paga formalmente corretta riportante una retribuzione mensile variabile dalle 1.000 alle 1.800 euro, i dipendenti, dopo aver ricevuto l’accredito, erano costretti a retrocedere in contanti, ai datori di lavoro, gran parte del salario.
In diversi casi, sulla base delle attività finora ricostruite, veniva anche chiesto ai lavoratori di recarsi presso i “money transfer” per effettuare rimesse di denaro all’estero (Pakistan) nei confronti di soggetti sconosciuti ma indicati dagli stessi datori di lavoro. Gli accertamenti esperiti nei confronti dei “money transfer” hanno permesso di accertare che, nell’arco di un solo anno, sono stati trasferiti all’estero, illegalmente, oltre 102.000,00 euro. Dalla ricostruzione dei dati contabili acquisiti, i Finanzieri hanno accertato che i dipendenti,
di fatto, percepivano un compenso variabile dalle 500 alle 700 euro mensili, pari ad una paga oraria effettiva di 4 – 5 euro l’ora.
Nel corso dell’attività di servizio, è stato appurato che agli impiegati non venivano consegnati né il contratto né le buste paga, in modo da renderli ignari sia dei propri diritti sia delle proprie spettanze.
Secondo le indagini, i predetti cedolini paga venivano artatamente modificati in maniera tale da non riportare, da un lato, l’effettivo numero di ore lavorate, dall’altro, l’indicazione fittizia di permessi, di ferie, della tredicesima e dei ratei del trattamento di fine rapporto.
Inoltre, nonostante la società dichiarasse la disponibilità per i dipendenti di alloggi e di buoni pasto, quali fringe-benefit, per usufruire di tali utilità i lavoratori dovevano corrispondere “in nero” un importo mensile fino a 200 euro per il posto letto (in alloggio con altri 10/15 connazionali) nonché erano obbligati a effettuare la spesa alimentare, per circa 150 euro al mese, presso un negozio riconducibile ad alcuni indagati, ove, nell’arco di tre anni, gli stessi hanno “posto all’incasso” quasi 22.000 buoni pasto elettronici, pari ad oltre 152.000,00 euro.
Tutto ciò consentiva all’impresa indagata il beneficio fiscale dato dalla deduzione dei predetti costi e, pertanto, di abbassare gli importi da versare allo Stato, tramite F24, sia a titolo di imposte sia a titolo di contributi a suo carico.
Di pari passo, l’esecuzione di ulteriori controlli – operati dai Finanzieri congiuntamente ai Vigili del Fuoco ed al personale dell’Unità operativa prevenzione e sicurezza negli ambienti di lavoro (Uopsal) dell’Azienda Provinciale per i Servizi Sanitari della P.A.T. – ha portato alla luce numerose violazioni alle norme in materia di sicurezza e di igiene sul luogo di lavoro. Allo stato degli atti. le condotte sopra indicate, consentendo un rilevante risparmio di costi del personale e sulla sicurezza del lavoro, permettevano all’impresa una posizione di vantaggio concorrenziale e di offrire ai propri clienti prezzi molto competitivi rispetto al mercato.
Nell’ambito del contesto operativo, le Fiamme Gialle hanno scoperto che gli indagati, a vario titolo, al fine di favorire la permanenza irregolare sul territorio dello Stato di alcuni cittadini pakistani, approfittando della sanatoria per l’emersione dei rapporti di lavoro, riservata ai lavoratori domestici, inducevano alcuni dipendenti della società ad assumere, quali collaboratori familiari, i cittadini irregolari dietro pagamento da parte degli stessi di un corrispettivo pari a 6 mila euro.
Tenuto conto del quadro probatorio acquisito e delle responsabilità emerse a carico degli indagati, la Procura della Repubblica di Rovereto ha richiesto ed ottenuto dal G.I.P. del locale Tribunale il sequestro preventivo frutto dell’attività illecita conseguito dalla società, pari agli stipendi non versati ai lavoratori ed all’indebito correlato risparmio contributivo.
In fase di esecuzione del provvedimento giudiziario, le Fiamme Gialle trentine hanno, quindi, eseguito il sequestro di 8 unità immobiliari ed 1 terreno, tutti siti in Rovereto, 3 autoveicoli, quote societarie e disponibilità finanziarie depositate sui conti correnti della società e degli indagati.
All’esito delle investigazioni l’autorità giudiziaria ha emesso l’avviso di chiusura delle indagini preliminari ed ha formulato la richiesta di rinvio a giudizio.