La serata evento
mercoledì 3 Maggio, 2023
di Simone Casciano
Un corno di montagna che suona. Una nota secca, un suono che riverbera nella sala in silenzio, al buio. Prima ancora che le luci si accendessero sul palco dell’auditorium Santa Chiara quel corno è stato il primo grido d’allarme verso il cambiamento climatico che lo spettacolo Arrampicarsi all’inferno. L’alpinismo ai tempi della crisi climatica ha consegnato al pubblico in sala. L’evento della terza serata del Trento Film Festival, andato in scena domenica scorsa 30 aprile, a cura di Leonardo Bizzaro, Roberto Mantovani e Vinicio Stefanello, ha messo insieme teatro, musica, scienza e racconto alpinistico. Un mix unico realizzato con un obiettivo in mente: far comprendere l’urgenza della sfida climatica. Sul palco si sono alternati il musicista Martin Mayes e le band valdostane L’Orage e Trouveur Valdotén, le letture affidate a Maura Pettorruso e poi i protagonisti del racconto: il climatologo Luca Mercalli e gli alpinisti Bernard Amy, Alberto Paleari, Rossano Libera e Sara Segantin.
«Il pianeta ha la febbre»
Luca Mercalli è andato subito al centro della questione. «Il pianeta ha la febbre – ha detto il meteorologo – siamo già a un grando in più. Con 38 gradi noi stiamo già male, ma con altri 4 gradi moriremmo non c’è dubbio». Con le fotografie dei ghiacciai in ritirata sull’arco alpino e con le tabelle dei dati Mercalli sgombra il campo da qualunque negazionismo. C’è il grafico che mostra il repentino innalzamento delle temperature a partire dal 1980, ci sono le ricerche effettuate sui tronchi del ginepro di montagna che dimostrano la drastica diminuzione di neve nell’arco alpino a partire dagli anni 2000 e, proprio per evitare fraintendimenti, Mercalli presenta una slide che torna indietro fino a 11mila anni fa. Mai nella storia dell’umanità si sono raggiunte le temperature di oggi. «Altrimenti – conclude Mercalli – Non sarebbe stato possibile per noi ritrovare Ötzi, morto 5400 anni fa, perfettamente conservato». Per un appassionato glaciologo come Mercalli i segni più evidenti del cambiamento climatico si vedono nei ghiacciai e le immagini più dolorose sono quelle che arrivano dalle Alpi. «Le vittime della tragedia della Marmolada – dice Mercalli – sono martiri del cambiamento climatico». Spesso i dati, pur fotografando la realtà, rischiano di rimanere astratti, freddi e distanti. Sono stati i racconti degli alpinisti a riportare urgenza e drammaticità alla situazione
«Siamo Icaro»
Gli alpinisti si sono avvicendanti sul palco come le generazioni, fino ad arrivare alla più giovane. Il primo è stato lo scalatore francese Bernard Amy. Ha parlato di come un percorso a lui conosciuto si sia trasformata in un percorso completamente diverso quando ha deciso di affrontarlo di nuovo con un’amica e paragonato la società contemporanea a Icaro. «Tra tutti coloro che, come gli alpinisti, lottano contro la gravità, l’eroe mitologico Icaro è stato senza dubbio la prima vittima del riscaldamento globale»
«Come sei cambiato vecchio amico»
Alberto Paleari, a lungo guida alpina, ha raccontato del suo rapporto con il Fletschorn. Una delle prime vette affrontate da Paleari nella sua vita di alpinista e poi, per tanti anni, fiore all’occhiello delle sue escursioni da guida. Paleari racconta il dolore e lo stupore provato quando, qualche anno fa, è tornato sul Fletschorn assieme a un cliente, trovandolo ormai quasi spoglio e secco. La guida alpina ha confessato di aver dovuto trattenere le lacrime di fronte a un amico così cambiato. «Scendendo continuavo a pensarci – dice Paleari – Mi resi conto che il Fletschhorn, l’avevo sempre solo sfruttato, e che mai mi ero preso cura di lui: da giovane era stato la palestra della mia passione alpinistica, da guida alpina una fonte di reddito, da sempre mi aveva dispensato la sua bellezza e una gran gioia di vivere. E io cosa avevo fatto per lui? Non mi ero nemmeno mai ricordato di ringraziarlo».
«Una parte di me non esiste più»
La storia di Rossano Libera è quella forse più simile a un tradizionale racconto alpinistico, ma svela nel suo finale l’effetto dei cambiamenti climatici. Libera racconta di una nuova via aperta sulla parete nord del Pizzo Ligoncio. La sua impresa più importante, portata avanti tra mille difficoltà e prendendosi grandi rischi. Per un alpinista forse non c’è risultato più significativo di questo, aprire una nuova via. Lasciare un segno indelebile nella storia dell’arrampicata. Ma non è stato così per Libera. «La scorsa estate, la parete Nord del Pizzo Ligoncio si è scrollata di dosso la crosta esterna che il permafrost teneva coesa, cancellando le sue linee di salita, compresa la mia – ha raccontato Libera – I Bastioni della Solitudine non esiste più. Una parte di me non esiste più. Ciò che ho vissuto è stato inutile».
«Le montagne che non vedrò»
L’ultimo intervento è stato quello della protagonista più giovane: Sara Segantin, scrittrice, alpinista e attivista di Fridays for Future. Una ragazza di 25 anni, originaria della val di Fiemme, che nell’amore per la montagna e per l’alpinismo ha scoperto quello per il pianeta in generale e racconta la vita di una giovane alpinista ai tempi del cambiamento climatico. Dal crollo della Torre Civetta, «quelle vie erano sulla mia lista e ci rimarranno, per non pensare che avrei potuto essere lì, quando sono crollate», alla tempesta Vaia «che ti spazza via la valle intera e i sentieri diventano impercorribili». Per questo Sara Segantin ha deciso di agire in prima persona, portando nella lotta ambientale le lezioni imparate nell’alpinismo. «Quando si è in 3, appesi a un chiodo marcio a centinaia di metri sul vuoto, non stai lì a discutere di chi è la colpa, ma cerchi di venirne fuori insieme il prima possibile».
A chiudere l’evento è stato di nuovo Luca Mercalli. «Mi impegnerò ancora per i prossimi sette anni, fino al 2030 – ha detto – Poi mi ritirerò nella mia baita». Ma quell’orizzonte, quello del 2030 forse non è solo per Mercalli, ma per tutti noi. L’orizzonte entro il quale è necessario invertire la rotta, come direbbe Robert Frost, scegliere la strada meno battuta perché «questo ha fatto tutta la differenza».