L'intervista
giovedì 18 Gennaio, 2024
di Ottilia Morandelli
Coniugare musica e scienza è possibile: «Ci vuole un po’ di follia». Lo sa bene Vivian Grillo, musicista, cantante e cantautrice ora dottoranda all’Università di Trento con un progetto per la Fondazione Bruno Kessler riguardante l’intelligenza artificiale. Concorrente di X Factor nel 2014, Grillo ha gareggiato con la squadra di Victoria Cabello, mostrando al grande pubblico una personalità eclettica in grado di spaziare fra generi musicali molti diversi: dal jazz, al blues, al country, passando per il pop e il rap. Classe 1994, italoamericana, vicentina di nascita, dopo l’esperienza del celebre talent ha fatto da spalla a Fedez e J-Ax nel loro tour negli stadi italiani. Musicoterapeuta laureata in psicologia cognitiva applicata all’Università di Padova, con una votazione di 110 con lode, Vivian Grillo non ha alcuna intenzione di smettere di imparare.
Vivian Grillo, si può dire che X Factor è stato il suo trampolino di lancio nel mondo della musica?
«X Factor è stata una vetrina non un trampolino, una grande occasione per farmi conoscere e per mostrare il mio stile musicale. Mi ha dato maggior consapevolezza e mi ha permesso di misurarmi con un grande palco, esibirmi davanti a molte persone e non più solo alla mia famiglia. Prima del talent, nel 2014, ho partecipato a molti concorsi canori, da bambina ho anche fatto un’audizione per lo Zecchino d’oro. Volevo però mettermi ancora di più alla prova. Ero titubante nel presentarmi alle audizioni, poi il mio migliore amico e la mia famiglia mi ha incoraggiato ad iscrivermi alle selezioni. Mi sono presentata davanti ai giudici con mio fratello Lawrence, è stata la mia forza in quel momento. Hanno selezionato solo me per il programma, ma senza di lui non avrei avuto il coraggio di presentarmi».
Quella per la musica è una passione condivisa.
«Tutta la mia famiglia è sempre stata una grande amante della musica. In casa abbiamo uno spazio dedicato agli strumenti, tutti suonano qualcosa di diverso: c’è chi sono la chitarra, chi la batteria, chi la voce. Quest’ultima è uno degli strumenti più difficili da accordare, è uno strumento che vuole una certa consapevolezza interna del suo funzionamento e di come usarla. È stato mio padre a indirizzarmi verso questo mondo, lui che mi ha dato l’imprinting facendomi ascoltare qualsiasi tipo di genere musicale. Anche mio nonno in America è stato importante, negli Stati Uniti è stato l’autista di grandi musicisti come Madonna e Bruce Spingsteen. Anche per il suo lavoro si è tramandata di generazione in generazione la cultura della musica che ingloba tutti i generi. Nella mia sonorità si sentono influenze degli anni 60, della musica retrò, del jazz, del blues, del country. Non manca il pop dei tempi di mio padre, integrato con quello più moderno».
Sono stati i suoi genitori a scoprire il suo talento musicale?
«I miei genitori si erano accorti della mia bella voce. Grazie anche ai consigli di alcuni amici di famiglia fin da bambina mi hanno fatto frequentare lezioni di chitarra e di pianoforte. Ho poi scoperto di voler curare la voce, per migliorare la padronanza del mio strumento. Sono andata alla scuola musicale di Thiene e lì ho conosciuto Lorenzo Fattambrini, musicista, compositore e direttore del coro Imt Vocal Project nel quale sono stata corista per molti anni. La musica è sempre stata la mia valvola di sfogo. A scuola sono stata vittima di bullismo e con il canto riuscivo ad esprimermi. Ero una bambina diversa, un melting pot di culture, con un padre americano e una mamma italiana ero vista dai bambini del mio paese come estranea. A casa mia si è sempre parlato inglese, è la mia prima lingua, l’italiano l’ho imparato a scuola, non venivo accettata perché c’era difficoltà nell’integrare le mie diversità».
Una vita di musica e psicologia, come è riuscita a conciliare queste due realtà?
«Per conciliare musica e psicologia inizialmente sono diventata musicoterapeuta. Quello che sto cercando di fare ora è coniugare la musica con la scienza. A questo proposito l’11 febbraio, in occasione della Giornata internazionale delle donne e ragazze nella scienza, sono stata invitata da Giuseppe Pellegrini, professore del dipartimento di Sociologia di Trento, ad esibirmi a Palazzo Leoni Montanari a Vicenza. Rappresenterò le ricercatrici, ancora fatichiamo a trovare il nostro posto nella scienza, non siamo rappresentate. Voglio che le bambine vedano che questo mondo, anche se ancora dominato dagli uomini, è anche per loro e che possono diventare delle scienziate».
Nell’ambito della ricerca accademica sta sviluppando un progetto con Fbk riguardante l’intelligenza artificiale. Di cosa si tratta?
«Ho vinto una borsa di studio per occuparmi di Human Computer Interaction, il titolo della mia borsa è Intelligenza Artificiale per l’Educazione e l’Istruzione. I miei studi sono multidisciplinari, la psicologia e la tecnologia. Con Fbk e il Laboratorio di osservazione diagnosi e formazione (Odflab) ho iniziato a elaborare un progetto riguardante la realtà virtuale. Quello di cui mi sto occupando è l’utilizzo di un ambiente virtuale sociale per migliorare la qualità della vita di adulti neurodivergenti. Si tratta di un tema che mi sta molto a cuore infatti, come musicoterapeuta, grazie a un triennio di qualificazione professionale in musicoterapia, mi sono specializzata in autismo, principalmente nei bambini. Continua inoltre il mio interesse nei confronti dei bambini neorodivergenti, il mio tirocinio per l’abilitazione alla professione di psicologa si focalizza proprio su questa popolazione».
Il suo futuro come lo vede? Pensa di cimentarsi ancora in qualcosa di nuovo?
«Vengo da una famiglia molto flessibile e aperta. Mia madre mi ha insegnato a non dire mai di no alle opportunità. Quello che vedo nel mio futuro è una scuola di psicoterapia, studiare altri quattro anni per poter diventare psicoterapeuta. Per quanto riguarda la musica sto pensando a un tour tutto mio, dove poter esprimere la mia musicalità in un progetto che sia un riflesso di me stessa. Sono alla ricerca di musicisti che possano affiancarmi».
Un sogno nel cassetto?
«Il mio desiderio è in linea con il mio progetto di ricerca e con il motivo per cui ho iniziato a fare musica: comunicare per creare comunità. Vorrei creare un ambiente, non importa se virtuale o fisico, un terzo luogo in cui le persone, che spesso vengono marginalizzate, possano trovare uno spazio libero dove togliersi le maschere ed esprimersi senza dover nascondere i lati più fragili e sensibili di sé. Creare un ambiente sano, una seconda casa, non solo per persone neuro divergenti ma per tutte le persone che vogliono sentirsi parte di qualcosa. Sento la mancanza della solidarietà gli uni fra gli altri, manca l’ascolto attivo, vorrei che si creasse uno spazio per esprimersi liberamente».