le storie
lunedì 11 Novembre, 2024
di Walter Facchinelli
Alla Casa di Riposo San Vigilio – Fondazione Bonazza a Spiazzo lo staff infermieristico conta 13 operatori coordinati da Sabrina Pegurri con il direttore Roberto Povoli. Dieci sono paraguayani: Natalia, Silvana, Cinzia, Fernando, Jessica, Cristian, Gabriel, Viviana, Anabel e Diana; Eda è di origini albanesi, Maria e Amelia sono della zona.
Le protagoniste della nostra storia sono Natalia, trent’anni, «arrivata a Spiazzo a febbraio 2021 con marito e figlio che oggi ha 4 anni» e Silvana, 32 anni, la più nostalgica del gruppo «a Spiazzo da luglio 2022». Sono partite con la ragione prima che col cuore: le unisce quell’energia che ha dato loro la forza – nonostante il dolore di abbandonare il mondo degli affetti familiari, gli amici e i luoghi natii – di affrontare una nuova fase della loro esistenza a oltre diecimila chilometri di distanza.
Le loro storie – con ricordi paralleli di partenze, distacchi e lontananze – ci riportano alla memoria l’emigrazione Ottocentesca della gente di Rendena che, affamata di speranza fuggiva dalla miseria, alla ricerca di una terra promessa e un futuro migliore.
«Questi dieci infermieri sono stati apripista di esperienze simili» ci spiega Roberto Povoli, direttore della Rsa rendenese: «Con nostre indicazioni due infermieri paraguayani sono in Rsa a Riva e tre a Povo». Esperienze «necessarie» che hanno portato la giunta provinciale a aderire al programma del governo nazionale di reclutare infermieri in India e Sudamerica (Argentina).
I loro pensieri volano e ci portano i ricordi delle tante difficoltà affrontate. «È stata dura», dice Natalia malgrado sia venuta a Spiazzo col marito e il figlioletto che oggi ha 4 anni. «È stato difficile prendere la decisione di venire in Italia nel 2021. In Paraguay ho lasciato la mia famiglia e gli affetti di una vita. Nel mio Paese lavoravo in un laboratorio di prelievi e analisi, questa nuova vita è più a contatto con le persone».
Silvana, «la ragazza col cuore in trasferta», è single e figlia unica. Commossa e piena di nostalgia dice: «Dopo la recente scomparsa della nonna, la mia mamma è tutto per me e quasi quotidianamente video-parlo con lei. Il primo anno è stato difficile per l’idioma, il cibo, il ritmo della vita, il clima, la lontananza. Ora mi trovo bene, ma la nostalgia è ancora forte». I suoi occhi e la sua voce lasciano trasparire prepotente e pungente quel sentimento che la lega a doppio filo col Paraguay. Il mio sogno è riuscire ad avere una casa laggiù o vivere qui con mia mamma».
Cosa vi ha stupito di più qui? «La neve. Non l’avevamo mai vista». Per Silvana «la montagna è troppo montagna, è stata dura abituarci al freddo, da noi l’inverno è come il vostro autunno».
L’attuale sistemazione «non è una scelta di vita definitiva», in loro è forte il desiderio di tornare alle proprie radici affettive e ritrovare la propria identità. «Torneranno in Paraguay? Sì, speriamo più tardi possibile» dicono Giovanna Tomasini presidente della Rsa e la coordinatrice infermieristica Sabrina Pegurri che aggiunge: «Noi speriamo che restino, ci sono già stati due ricongiungimenti familiari».
Le loro rimesse di denaro assumono un valore che va al di là del significato economico, simboleggiando la persistenza del legame affettivo e la responsabilità che li ha portati a Spiazzo: «Aiutandoli economicamente ci prendiamo cura dei nostri cari, assicuriamo loro i mezzi necessari per una vita migliore».
Non è da tutti ricominciare da zero, lasciarsi indietro famiglia, amici, amori e sapori del tuo Paese. Ci confida Silvana: «Insieme siamo riusciti a risolvere un po’ dei nostri problemi. Siamo di supporto l’uno all’altro: quando uno sta male stiamo tutti male, quando stiamo bene ci coccoliamo».
Nel tempo libero «stiamo tra di noi paraguayani da altre parti del Trentino, ma anche dell’Italia. Siamo in tanti! Facciamo delle feste e cuciniamo qualcosa di tipico».
Il rapporto con gli ospiti è «molto buono, le persone sono contente». Per Natalia «la differenza culturale è tanta, qui le persone sono chiuse, da noi chiacchieriamo moltissimo. L’affetto è la maggiore carenza degli ospiti». Silvana aggiunge: «Per me i nonni della Rsa è come se fossero miei familiari, cerco di farli sentire bene, di non farli sentire come ospiti. Come? Parlando con loro, è una grande terapia: li aiuta tantissimo e aiuta anche noi».
Questi infermieri, con le loro fragilità e tristezze, abbracci ed emozioni, nelle Rsa ci aiutano a tenere insieme il tessuto strappato di una società dove le relazioni parentali sono a rischio di vuoti e abbandoni.
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