La storia
venerdì 13 Dicembre, 2024
di Daniele Benfanti
Il professor Marco Donatoni, di Trento, classe 1976, lo scorso settembre ha cominciato la sua seconda avventura di insegnante a Innsbruck. Si avvia ai vent’anni di carriera: docente di italiano, storia e latino, si è laureato in Lettere a Trento e si è specializzato alla Ssis di Rovereto per l’insegnamento. È un grande amante dei viaggi (l’Europa l’ha visitata quasi tutta e conosce bene Nord America, Asia e Africa) e della geografia. Il Trentino delle scuole superiori lo ha girato per bene: tre anni al Maffei di Riva del Garda, altri quattro al Russell di Cles, sei al Guetti di Tione, poi tre al Curie di Pergine Valsugana e infine l’approdo, un paio di anni fa, al Sophie Scholl di Trento. L’anno scolastico 2023/24 e quello in corso li passerà nel capoluogo tirolese.
Professor Donatoni, com’è nata l’idea di fare l’insegnante trentino all’estero?
«Ho fatto un concorso nel 2019 con il ministero degli esteri per Zurigo e Monaco, ma la Valle d’Aosta e la Provincia Autonoma di Trento possono negare l’autorizzazione. Peraltro, la Provincia di Trento ha stipulato un protocollo d’intesa con il Tirolo che prevede uno scambio reciproco di insegnanti: 5 ogni 4 anni. Il primo contratto è di un anno, rinnovabile per un massimo di 4 volte. Io ho iniziato il secondo. L’accordo trentino-tirolese vale per docenti delle superiori ma anche delle medie e della primaria. Ho colto volentieri questa occasione per allargare i miei orizzonti professionali».
Qual è la sua scuola austriaca?
«Il Reithmann Gymnasium di Innsbruck. Comprende sia la scuola media che quella superiore, coprendo la fascia d’età che va dai 10 ai 18 anni. In Austria i ragazzi finiscono a 18 e non a 19 anni il ciclo scolastico».
Quali materie insegna abitualmente a Trento e qual è il suo incarico a Innsbruck?
«A Trento insegno lettere italiane, latino e geostoria. A Innsbruck lavoro come insegnante madrelingua di italiano e affianco altri insegnanti. In Tirolo l’italiano è la seconda lingua più studiata dopo l’inglese. Sono anche lettore di madrelingua. E per tre mesi, lo scorso anno scolastico, ho fatto anche il supplente di latino, che loro considerano una lingua straniera opzionale al pari di altre, come il francese. Insegnando latino in Austria, però, devo dire che mi sono pentito di essermi lamentato dei miei studenti trentini… In Austria nonostante una grammatica per alcuni versi simile al tedesco, hanno grosse difficoltà con il latino».
Dopo il primo anno di esperienza, che idea si è fatto della scuola dei «cugini» austriaci?
«Pensavo fosse più selettiva, invece è molto inclusiva. Per quanto riguarda le infrastrutture, sono molto avanti. Ma per studenti e insegnanti c’è una certa rilassatezza: in Trentino e in Italia in genere, la scuola è più stressante».
Diceva delle strutture e degli ambienti: in cosa sono più avanti, in Tirolo?
«Le scuole sono molto accoglienti: sono grandi, spaziose, con molte aule specializzate, divani dove riposarsi. Nelle aule ci sono anche degli angoli cucina per ristorarsi…».
Che voti si danno?
«Dall’uno al cinque: quattro è la sufficienza».
Altre differenze con la nostra scuola?
«C’è molta più attenzione per la manualità, anche la storia dell’arte è molto applicativa. È una scuola più basata sulle competenze: va dato allo studente il modo di rifarsi».
Sul fronte della disciplina e dell’attenzione?
«Forse c’è più rispetto dell’adulto e gli studenti tirolesi sono più abituati a rispettare le regole. Ma anche in Austria ci sono molti studenti un po’ demotivati».
Per quanto riguarda la carriera docente?
«Qui gli insegnanti possono fare massimo 5 anni da precari: poi c’è la stabilizzazione».
Se dovesse dire perché è bella la sua professione, al di qua e al di là del Brennero?
«La parte più bella del mio lavoro, secondo me, è la preparazione delle lezioni, progettare, cercare materiali che possano suscitare l’interesse dei ragazzi e delle ragazze».
La parte meno entusiasmante?
«Sicuramente la correzione dei compiti e degli elaborati degli studenti è la parte meno avvincente».
E il rapporto con le alunne e gli alunni?
«Assorbe tante energie, indubbiamente. Mi piace far apprezzare loro le diverse discipline e credo che nel rapportarsi con loro si rimanga versatili, aperti, disposti al cambiamento. È bello valorizzare la personalità di chi impara ma anche saper dare delle regole».
Cosa sanno gli adolescenti e i giovani tirolesi del Trentino? C’è consapevolezza di aver fatto parte di una storia comune?
«Dobbiamo distinguere: alcuni ragazzi tirolesi vogliono studiare l’italiano perché utile per il lavoro nel turismo. Ma non c’è l’idea del Trentino come parte di un’area comune, che sia nel passato o nel presente. I miei coetanei, invece, gli adulti, i colleghi, mi dicono “Se sei trentino sei quasi austriaco…”: considerano il nostro come un lembo di territorio purtroppo perso con la guerra».
Che classi sono quelle tirolesi? Multietniche?
«Molto: in una stessa classe, che ho avuto l’anno scorso, ci sono studenti e studentesse di origine asiatica, turca, dal Marocco, dalle Filippine, ma anche da Tagikistan e Palestina».
Che stereotipi nutrono i tirolesi nei confronti degli italiani?
«Molti sono dei classici: che siamo poco puntuali, che c’è caos nelle nostre strade, che siamo poco portati al rispetto delle regole. Ci ammirano, come spesso accade tra gli stranieri, per la moda e per il cibo».
E dal suo punto di vista, si è ricreduto su qualche pregiudizio che aveva prima di partire, un anno fa?
«Mi aspettavo persone più fredde e distaccate, invece ho trovato i tirolesi molto calorosi e accoglienti. Ma me li aspettavo anche più rigorosi e inflessibili nell’efficienza e nell’organizzazione: li ho trovati più rilassati di quanto pensassi».
Ha trovato più concretezza che da noi?
«Non fanno mai polemica sulle piccole cose, e questo aiuta. I collegi docenti sono rilassati, si fanno poche riunioni e durano poco. Fino a febbraio non si fanno consigli di classe, se tutto va bene. Anche gli scrutini sono molto brevi».
Chi sono i suoi colleghi «prof trentini expat a tempo» in Tirolo?
«Sono l’unico uomo, le altre sono tutte donne, impegnate nella Mittelschule una e nella primaria altre tre. Ci siamo conosciuti a Trento».
Non avete avuto difficoltà a fare questa scelta e farla accettare in famiglia?
«Devo dire che siamo insegnanti o single, o separate/i o con figli molto grandi. Ma grazie ai miei racconti ho scoperto che altri miei colleghi trentini hanno voglia di provare un’esperienza all’estero».
Com’è la vita a Innsbruck e come trascorre il tempo libero?
«Naturalmente è una bella città, un po’ più grande di Trento, ma di poco, molto ben organizzata. Su 135mila abitanti, ben 4mila sono gli italiani residenti. Ho un monolocale a 5 minuti dalla scuola e un piccolo bonus per far fronte al maggiore costo della vita, che qui è più alto del 10-20%. I cibi italiani sono costosi, me li porto da casa. Innsbruck, grazie al turismo, ai centri di ricerca, all’ospedale ha una bella dimensione internazionale. Nel tempo libero frequento le montagne, vivo la vita culturale, visito i dintorni».
E il suo tedesco, immaginiamo già ottimo, è riuscito a perfezionarlo?
«Ho il C1 di tedesco ma all’inizio molte parole non le capivo: ho subito compreso che, anche i miei colleghi insegnanti, tra loro parlavano dialetto. E anche i ragazzi. Ci tengono molto, è la loro identità: anche per differenziarsi dalla ben più grande e vicina Germania. Ma non sempre sono consapevoli che non stanno parlando tedesco standard…».
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