l'intervista

martedì 4 Giugno, 2024

Dalla Camera a Trento, Hanin Soufan racconta la Palestina ai bambini: «Siamo alberi strappati dalle radici»

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La scrittrice e attivista palestinese sabato 8 giungo presenterà i suoi libri sul conflitto in Medioriente: uno con prefazione di Moni Ovadia

Scrittrice e attivista di origine palestinese, Hanin Soufan, 30 anni, nata a Bergamo, lo scorso gennaio ha pubblicato il suo primo libro, «Le anime invincibili di Gaza» (Editori della Luce). Una raccolta di storie e di voci da Gaza che è stata poi seguita da «Lina e il racconto della Nakba. Alla scoperta della Palestina», una seconda pubblicazione destinata ai bambini e alle bambine. L’autrice, reduce da due presentazioni alla Camera dei Deputati, sabato prossimo sarà ospite per un doppio appuntamento in Trentino: al centro civico Lizzanella di Rovereto alle 15.30 e poi all’auditorium San Giuseppe di Trento alle 18.30.
Hanin Soufan, partirei con una domanda sulle sue origini. Perché si sente così legata alla Palestina, pur essendo nata in Italia?
«Io sono come un albero che è stato strappato dalle sue radici. Noi tutti, palestinesi, siamo stati strappati dalle nostre terre per permettere l’insediamento dello Stato di Israele. Quello dell’esilio è un fardello che è stato trasmesso anche alle nuove generazioni. È un po’ come l’Olocausto: non tutti gli ebrei lo hanno subito, ma si sentono tutti vittime di quelle atrocità. Noi palestinesi siamo allo stesso modo vittime della Nakba (l’esodo forzato della popolazione araba palestinese negli anni 1947-48, ndr)».
La sua famiglia è stata cacciata durante la Nakba?
«I miei nonni erano originari della Cisgiordania. Nel 1948 si rifugiarono, borsa in spalla, con i loro figli piccoli a Haifa. Poi si spostarono a Ramallah».
Perché ha deciso di scrivere «Le anime invincibili di Gaza»?
«Per rendere eterna la sofferenza palestinese. Perché, purtroppo, la storia finisce nel dimenticatoio mentre io vorrei che le storie di queste persone rimanessero impresse. Infatti, è una raccolta di racconti che danno una voce e un volto ai palestinesi. Perché è giusto che vengano raccontati come esseri umani. Inoltre, il ricavato delle vendite viene interamente devoluto a Gaza per raccogliere aiuti umanitari».
Come ha raccolto queste testimonianze?
«Più che altro attraverso i social. Il libro comprende le storie del giornalista Wael Dahdouh e del fotoreporter Motaz Azaiza. Un capitolo, invece, è interamente dedicato al racconto (romanzato, ndr) di una ragazza cristiana che ha vissuto in prima persona il bombardamento della chiesa San Porfirio a Gaza lo scorso ottobre».
Subito dopo ha pubblicato un libro per bambini dove un nonno racconta alla propria nipote la Nakba. Perché è importante spiegare ai più piccoli il conflitto?
«Ricordiamoci che questi bambini saranno dei futuri adulti. Quindi è giusto venga raccontata loro la storia fin dal principio. Perché, crescendo, possono cadere nell’errore di iniziare a seguire la serie televisiva partendo dall’ultima stagione. Invece, bisogna spiegare loro che esistono altre stagioni e che il conflitto parte dal 1948. Sembra un pezzo di storia lontano ma non lo è affatto. Ricordiamoci che la Palestina è anche la Terra di Gesù. Inoltre, ho risposto alle esigenze di quei genitori che vedono le atrocità e si chiedono “come possiamo raccontarle ai nostri figli?” Di certo non li mettiamo difronte ad Al Jazeera o alle stories di Motaz Azaiza (che ha raccontato a milioni di follower il dramma di Gaza, ndr)».
Lei ha presentato i suoi libri anche alla Camera dei deputati…
«A dire il vero ci sono stata due volte. È stato emozionante parlare di Palestina nella più alta sede del governo italiano. È un tema che releghiamo alle piazze, invece, con il mio intervento sono riuscita a portarlo in un’istituzione. Spero possa portare a un cambiamento».
Ci lasci con una riflessione su quello che sta accadendo a Gaza, anche alla luce degli ultimi attacchi a Rafah…
«Si stanno consumando atrocità che non vengono riconosciute. Una buona parte della narrativa non nomina nemmeno la Nakba, eludendo l’origine del problema. Però, vedo che molte persone hanno preso a cuore la questione palestinese e scendono in piazza: dalla Tunisia al Marocco passando per l’Egitto. Ma non solo arabi, anche negli Stati Uniti e in Italia, migliaia di persone resistono e dormono in tenda per protestare. Mi preme sottolineare una cosa: la questione palestinese non è mai stata un problema religioso bensì politico. C’è una grandissima differenza tra essere ebreo ed essere sionista. Infatti, la prefazione del mio libro è stata scritta da Moni Ovadia».