Il personaggio
venerdì 26 Aprile, 2024
di Lorenzo Fabiano
Viaggiatore, esploratore, scrittore e documentarista. Potrebbe bastare, ma anche no perché a un uomo come Alessandro de Bertolini le etichette non possono che stare strette. Ampi gli spazi che va a scoprire in giro per il mondo, ampi quelli della sua anima. «Ti passa un continente sotto i pedali a venti centimetri dalla suola della scarpa», scrive nel suo nuovo libro «Like a skinny ant» («Come una formica magrolina», Montura Editing), che sarà presentato il 1° maggio in piazza Duomo nell’ambito del Trento Film Festival. Lui di chilometri sotto i pedali se ne è fatti 7.500 in 75 giorni in sella alla sua bicicletta dalla Mongolia al Nepal: partenza da Ulan Bator, passando per le steppe di Gengis Khan e proseguire poi in Cina, entrare in Tibet e raggiungere Katmandu, la capitale del Nepal. Notti in tenda sotto le stelle, in un viaggio attraverso l’Asia che collega due centri di solidarietà, uno a Ulan Bator e l’altro a Katmandu.
Già collaboratore del nostro giornale, de Bertolini è ricercatore della Fondazione Museo Storico del Trentino ed è autore del progetto «BikeTheHistory» in Montura Editing, iniziativa editoriale e solidale che nel 2017 lo ha portato a pedalare dalla California all’Alaska, viaggio da cui sono usciti il libro e il film «It’s my home for three months».
Desiderio di conoscenza, senso di libertà e spirito di avventura; io la buttò lì…ma mi dica lei cosa la spinge a fare questi viaggi?
«Alla spinta che ti viene dal profondo non sai dare una spiegazione razionale. L’ignoto è una grande calamita rovente che ti attrae. Tu vivi rispondendo alle sue chiamate che di tanto in tanto ti portano a viaggiare».
Come è maturata l’idea di questa traversata dell’Asia?
«Nel 2017 ero tornato dal viaggio in Nordamerica; con Roberto Bombarda, responsabile di Montura Editing, abbiamo pensato di rilanciare attraversando l’Asia per raccogliere fondi e sostenere due Onlus, una struttura di accoglienza per ragazze madri di figli disabili gestita a Ulan Bator da Need you Onlus di David Bellatalla, medaglia d’oro della Croce Rossa in Mongolia, e una scuola, la Rarahil Memorial School a Kirtipur, cittadina vicina a Katmandu, gestita dalla Fondazione Senza Frontiere Onlus di Fausto De Stefani, grande alpinista che ha scalato, secondo dopo Reinhold Messner, le quattordici vette da ottomila metri in Himalaya. Roberto Bombarda, David Bellatalla e Fausto De Stefani: se ho fatto questo viaggio lo devo a loro. Un viaggio all’insegna della scoperta di un mondo sconosciuto e della solidarietà, ma anche con un altro scopo…»
Quale?
«Scientifico. Ho stretto un rapporto di collaborazione con il Cnr a Roma e il Muse a Trento: il Cnr mi ha dotato di un apparecchio mobile, che ricaricavo con la dinamo posta sul mozzo della ruota anteriore della bici e un pannello solare, per la rilevazione della qualità dell’aria. È stato quindi un viaggio con finalità culturali, solidali e scientifiche».
Che mondi ha trovato?
«Se la Mongolia è qualcosa a sé stante, uno spazio sconfinato dove per giorni non incontri nessuno, e in Nepal senti la vicinanza dell’India, in Cina avverti l’isolamento culturale. Sei dentro un altro mondo con una distanza culturale siderale dal nostro, come mai avevo percepito prima nei miei viaggi».
Lei è entrato in Tibet, di cui oggi si sa poco o nulla. Che esperienza è stata?
«Entrare in Cina è stato difficile, ma entrare in Tibet è stato ancora più difficile. Il Permit per il Tibet mi è stato concesso dopo due settimane che ero in viaggio. Fino all’ultimo non sapevo se sarei potuto entrare e temevo di non poter raggiungere il Nepal. La strada è disseminata di posti di blocco dove ti controllano i documenti; per poter passare devi anche avere un garante che si presenti con te ai checkpoint; io ero in contatto telefonico con lui e ci davamo appuntamento ai posti di blocco. In Tibet ho avvertito il forte contrasto tra il senso di libertà che ti trasmettono quegli orizzonti a perdita d’occhio con le cime himalayane sullo sfondo e il senso di costrizione che impongono le politiche della Repubblica Popolare Cinese. Politiche che, dopo i disordini del 2008 per l’indipendenza del Tibet, si son fatte sempre più restrittive. Per dare un’idea, il versante nord dell’Everest, quello tibetano, è interdetto agli alpinisti che possono salire quindi solo dal versante nepalese».
La maggior difficoltà in quei 75 giorni?
«La distanza dai miei figli, Lorenzo e Bianca, e da mia moglie Silvia. Nel 2017, quando ho fatto il viaggio dalla California all’Alaska, non avevo ancora due bambini a casa. Prima di partire per la Mongolia, ho telefonato a Fausto De Stefani a Katmandu, la mia destinazione finale, e tra le tante cose gli ho chiesto come nelle sue numerose spedizioni fosse riuscito a sopportare la lontananza dai suoi figli: “Resistere, resistere, resistere!” mi ha risposto. Le altre difficoltà le superi, mica siamo supereroi e andare in bicicletta è la cosa più facile mondo, ma il distacco dagli affetti più cari è la difficoltà in cima alla piramide. Mia moglie Silvia, al lavoro a tempo pieno in ospedale e con due figli a casa, ha affrontato in quei 75 giorni difficoltà maggiori delle mie. Le scelte più coraggiose le ha fatte lei».
Cosa le ha lasciato questo viaggio?
«Attrazione verso l’ignoto, l’adrenalina della scoperta ogni giorno. “Andavo incontro al futuro come luogo della scoperta e della stupefazione”, ho scritto nel libro. In una dialettica tra Occidente e Oriente penso all’isolamento ambientale che ho provato nel viaggio in Alaska e all’isolamento culturale che ho avvertito in Cina. L’altra cosa che mi porto dentro è la grande accoglienza che ho ricevuto; uno spirito di fratellanza nella sua accezione laica. È qualcosa che vorrei trasmettere ai miei figli. Viviamo in un mondo che fa schifo, ci sono più Paesi in guerra oggi che ai tempi della Seconda Guerra Mondiale. Questa fratellanza laica è un messaggio di speranza in un momento come questo».
La prossima avventura?
«Detto che appena ne concludi una e mentre sei sull’aereo che ti riporta a casa già pensi a quella che verrà e che i lunghi viaggi torneranno a chiamarmi, i prossimi li vorrei fare con Silvia, Lorenzo e Bianca. I più belli li ho fatti con loro, in tenda e sacco a pelo».
l'intervista
di Davide Orsato
L’analisi del giornalista che ha di recente pubblicato un manuale per spin doctors dal titolo «Non difenderti, attacca» e contiene 50 regole per una comunicazione politica (imprevedibile e quindi efficace)