Il lutto

domenica 5 Febbraio, 2023

Daniele, «maestro e bomber»: in cento per l’addio a Meano

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Ricordo laico per l’educatore investito a Pavia: «Sei stato un esempio»

A Daniele Marchi non piacevano i funerali. Troppe lacrime, troppo grigiore: non voleva essere ricordato così. E, quello di ieri nella sala civica di Gazzadina il «sottotetto» dell’ex scuola, per l’occasione affollato da centinaia di persone, è stato un «antifunerale», fatto di ricordi, sorrisi, canti e anche di qualche risata. Gli amici, i coetanei hanno voluto ricordare così, senza bara e senza preghiere, l’educatore di cinquant’anni, originario di Meano, che ha perso la vita a Pavia in un tragico incidente, travolto da un’auto mentre, come ogni giorno, si stava recando a scuola in bicicletta. C’erano loro, ieri pomeriggio, i «coscritti», che hanno organizzato il tutto, ma anche i familiari più stretti: genitori, fratelli e sorelle, zii e nipoti. E sono stati proprio il fratello Francesco e il nipote Leonardo, membro del coro della Sosat, ad aprire con un sobrio ricordo e tre canzoni «di montagna»: Rosa alpina, Amici miei, Ai preât la biele stele. Adriano, compagno delle elementari lo ricorda con il soprannome di sempre, il Ghema: «Le persone che conosci da piccolo sembrano sempre immutate nei ricordi. Ti vogliamo ricordare come il bomber a cui bastava passare la palla per essere sicuri che la mettesse in porta». Ma nella vita e nella lunga giovinezza di Marchi, che dimostrava la vitalità di un adolescente, non c’era solo il calcio. C’era anche la passione per la natura, con le lunghe passeggiate e la curiosità di esplorare luoghi, vicini e lontani, ma sempre con la stesso approccio, in profondità. Come ha raccontato bene un amico con cui Daniele Marchi ha frequentato le superiori, Adriano: «Abbiamo fatto l’interrail insieme — il ricordo — quindici giorni attaccati, sempre spalla a spalla. Siamo stati gli unici scemi che, avendo la possibilità di viaggiare ovunque sono rimasti per tutto quel tempo in un solo Paese, la Danimarca. Ma questo, del resto, era il modo di fare di Daniele: prendere una cosa e approfondirla il più possibile. Abbiamo scovato paesini quasi disabitati, vivendo nelle casette dei pescatori». Quando c’era la possibilità, Daniele si scatenava: «All’Arena di Verona, al concerto dei Simple Minds non ne potevamo più di rimanere seduti con tanta musica che ci emozionava. Ci siamo alzati in piedi, tutti gli altri ci hanno seguito». E in piedi sulla sedia, Daniele ci saliva anche a scuola, come Robin Williams — John Keating nell’«Attimo fuggente», per avere un’altra prospettiva nel mondo.
Un «educatore» per vocazione, come racconta un’ex insegnante che l’ha avuto tra gli allievi e che ha scelto di dedicargli un breve verso di Anna Achmatova: «Siamo come due monti…
non ci incontreremo più a questo mondo. Se solo, quando giunge mezzanotte,
mi mandassi un saluto con le stelle». Un’attitudine per cui il maestro trentino era conosciuto anche nella sua città adottiva, Pavia: «Il tuo Dna — le parole di una collega lombarda, Rosy — era fatto al novanta per cento di una parola breve e importante: la cura. Verso i nostri bambini e verso la tua famiglia. Non vogliamo che tu pensi di lasciarci solo un vuoto. È così, ma lo riempiremo con il tuo esempio. È una promessa».