cultura

martedì 12 Settembre, 2023

David Tozzo e la «balla» della meritocrazia: «Fa a pugni con l’uguaglianza»

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L'intervista con l'autore David Tozzo, atteso domani a Trento per raccontare il suo ultimo libro

A David Tozzo non manca il coraggio. E ce ne vuole, di questi tempi, per scrivere un libro intitolato «L’ineluttabilità dell’uguaglianza». Ancor più ce ne vuole a mandarlo in libreria con una copertina che, per i bibliofili più scaltri, richiama graficamente quella del «Discorso sull’origine e i fondamenti della disuguaglianza tra gli uomini» di Jean-Jacques Rousseau, del 1755. E proprio come un pamphlet di qualche secolo fa, il sottotitolo recita «Una polemica del signor David Tozzo nella quale si dimostra, per mezzo di molti e solidi argomenti, tra i quali maremoti, barbari, fiocchi d’avena e morti viventi, che la disuguaglianza non è la pelle dell’umanità bensì la più sofisticata impostura dall’umanità subita».
L’autore, romano, classe 1981 (ma per un pelo: è nato il 31 dicembre), è anche attivista politico in Sinistra Italiana (in precedenza in Articolo Uno), collabora con HuffPost Italia ed è presidente di Acron Italia, organizzazione di comunità per i diritti civili e dell’abitare. Sarà a Trento domani alle 21 alla libreria Due Punti di via San Martino per presentare il suo lavoro. Leggendo l’intervista che segue, l’editore vi apparirà del tutto incongruo: perché si tratta della Luiss University Press. Cioè uno dei bastioni del liberismo.
Un titolo ottimista o una provocazione?
«In realtà colgo lo spirito del tempo. I media ci continuano a informare di come le disuguaglianze siano in drammatico aumento. E sono ogni giorno più numerosi i libri che ne parlano, sempre con la parola “disuguaglianza” nel titolo. Io ho scelto di fare il contrario. Perché i numeri mi confortano».
Davvero? Si spieghi meglio.
«È semplice. Riporto nel libro l’andamento dell’indice scientifico Gini, con cui da decenni si monitorano le disuguaglianze nel modo. Pensavo di trovare uno sviluppo del tipo montagne russe, cioè spezzato, con picchi, discese e altri picchi. E invece non c’è un solo quinquennio in cui le disuguaglianze non si riducano. Alcuni esempi: 220 anni fa solo il 10 per cento della popolazione mondiale sopra i 15 anni sapeva leggere e scrivere. Oggi, su una popolazione di oltre otto miliardi di persone, siamo all’85 per cento. E sappiamo bene che l’istruzione è uno dei maggiori fattori di uguaglianza. Ancora: l’aspettativa di vita. Nel 1820 quella mondiale era di 26 anni, oggi di 72. Nel 1780 il 20 per cento dei nati non superava il primo anno di vita. Oggi quel numero è appena l’1 per cento. Vado avanti?».
Resta il fatto che oggi le disuguaglianze appaiono sempre più enormi e difficilmente erodibili.
«La pandemia ha esacerbato alcuni elementi, ma si tratta di uno scostamento lieve rispetto a un andamento che è chiaro: a livello planetario le disuguaglianze continuano a calare. L’errore sta nel guardare solo agli ultimi 2000 anni. Ma questa è un’èra al tramonto. L’homo sapiens sapiens sta su questo pianeta da 212 mila anni. E oggi la condivisione dell’informazione, il fatto che ognuno di noi ha in mano un telefonino e si può informare, è un fattore formidabile di uguaglianza».
Nel libro cita Norberto Bobbio, secondo il quale il concetto di libertà è in totale contrapposizione con il concetto di uguaglianza. Forse è il caso di spiegare meglio questo passaggio.
«Il nostro cervello funziona per associazioni, dirette o inverse. E il termine libertà ci suona positivo, perché all’opposto sta la galera. Ma se io contrappongo i concetti di uguaglianza e di libertà, vedo che quest’ultima è entrata nel discorso politico quotidiano dopo il 1989, quando la storia sembrava finita, come scriveva Fukuyama: quando l’unico mondo possibile sembrava essere quello del capitalismo. E quindi il mondo della libera iniziativa e del libero mercato. Io invece rovescio il ragionamento e dico che il concetto di libertà, così inteso, ha drogato la società mondiale. Se tutti sono liberi, significa che nessuno è protetto è garantito. Siamo quindi agli antipodi dell’uguaglianza. Perché uguaglianza significa non essere liberi di spadroneggiare».
Il passo che da qui porta alla meritocrazia è breve. E infatti nel libro lei massacra anche questo concetto.
«La meritocrazia è un’altra balla che fa a pugni con l’uguaglianza. Chi si laurea in Bocconi che merito ha rispetto al figlio di un pastore che non ha la possibilità di entrarci? Non c’è merito, c’è solo fortuna nella nascita. Stiamo parlando di una narrazione tossica. E infatti quello della meritocrazia è un concetto recente. Anticamente, gli antropologi lo sanno bene, per i cacciatori che tornavano con più prede o per i raccoglitori che trovavano più frutta si parlava di fortuna, non di merito. L’ideologia della meritocrazia nasconde un re nudo: la competizione intesa come lo sgomitare. È un discorso scivoloso, perché oggi vediamo la concorrenza come un elemento positivo per il consumatore, ma siamo sempre lì».
Alla sopraffazione?
«Sì. Ma la storia umana non è fatta solo di darwinismo. Per il 95 per cento della sua storia l’essere umano ha vissuto sulla terra in società egualitarie: la condivisione di valori come quelli della concorrenza, del mercato e della libertà fa parte solo del 5 per cento della storia umana. Comprensibilmente, tutti gli esseri umani che insistono in uno spazio e in un tempo ritengono che quelle dimensioni siano l’unica realtà possibile. Ma non è così, non lo è stato a lungo. Il cambiamento non lo si riesce a vedere prima che questo avvenga, ma è appunto ineluttabile».
Uguaglianza ineluttabile perché, lo ripete più volte, conveniente per tutti. Anche per chi è più uguale degli altri?
«La pandemia dovrebbe farci pensare. La fortezza Europa, e tutto ciò che intendiamo come Occidente, ha pensato prima di tutto a se stessa, a barricarsi dietro quarte dosi e blocchi navali. E in cambio abbiamo avuto 37 varianti solo di Omicron. Ci è convenuto? Ha avuto senso che l’1 per cento della popolazione mondiale si schierasse contro il restante 99 per cento di mondo che oggi è interconnesso e intercomunicante? Lo stato nazionale è un retaggio medioevale: stiamo in questo mondo insieme e se non siamo tutti garantiti siamo tutti in pericolo».