l'intervista
venerdì 7 Marzo, 2025
Dazi, per i vini danno da un miliardo di euro. Lunelli (Cantine Ferrari): «Ordine economico a rischio smantellamento»
di Lorenzo Fabiano
L’amministratore delegato: «La produzione americana non sarebbe in grado di sostituire le bollicine europee. Tra i consumatori anche la classe media»

«È un momento di grande incertezza, il contesto macroeconomico e geopolitico è estremamente incerto e questo ovviamente non fa bene a chiunque faccia impresa. È uno scenario in cui vedo solo tante negatività». Amarezza e preoccupazione, nelle parole di Matteo Lunelli, amministratore delegato del Gruppo Lunelli, che riunisce alcuni dei marchi più prestigiosi dell’eccellenza italiana, tra i quali spiccano le rinomate bollicine Trentodoc di Ferrari Trento, di cui Lunelli oltre a essere ad è anche presidente.
Presidente Lunelli, la scure dei dazi di Trump si abbatterà anche sul settore vinicolo. Tra tariffe aggiuntive e crollo del Pil, il presidente dell’Unione Italiana Vini Lamberto Frescobaldi ha quantificato il danno per l’export in un miliardo di euro. Lei come valuta la politica economica americana?
«Il nostro è un Paese con una fortissima propensione all’esportazione. L’Italia esporta verso gli Stati Uniti 67 miliardi di euro; di questi, 7,8 sono dell’agroalimentare e 2 sono del vino. È ovvio che se dovesse concretizzarsi il 25% di dazio, questo infliggerebbe un colpo significativo a un settore che già sta comunque in questo affrontando alcune sfide. Guardando sia alle bollicine italiane che allo champagne francese, tutti saremmo accomunati in una situazione di svantaggio che si tramuterà in un incremento dei prezzi sul mercato che porterà un danno ai consumatori. Per quanto riguarda il Gruppo Lunelli, per noi il mercato americano è il più importante dopo quello italiano; diciamo quindi che questi dazi non sarebbero per noi positivi. È una politica miope che rischia di avere anche per l’America delle ritorsioni molto forti: voglio sperare che sia lo strumento negoziale di un presidente degli Stati Uniti che ha questo tipo di strategia e questo tipo di approccio nella diplomazia internazionale. Ma se questo sistema protezionistico andrà a regime, non farà bene neppure all’economia americana».
Con l’ordine geopolitico sta saltando anche quello macroeconomico.
«In questi giorni si parla proprio di un ordine economico internazionale che viene smantellato a colpi di dazi. Perché quando si vede compromessa la relazione, ad esempio, tra Paesi come gli Stati Uniti e il Canada che sono sempre stati partner e amici storici, e si parla di altrettante misure nei confronti dell’Europa, ovviamente siamo di fronte alla minaccia di distruzione di quell’ordine economico internazionale cui siamo abituati. Per un Paese come l’Italia questo è uno scenario sicuramente di rischio; lo ha giustamente sottolineato il presidente Mattarella sostenendo che questa guerra dei dazi crea una tensione a livello internazionale che è fonte di instabilità».
Essendo un prodotto di alta fascia, il Trentodoc soffrirà un po’ meno?
«Forse il consumatore di questo tipo di vini è meno sensibile all’aumento di prezzo derivato dai dazi, ma bollicine come il Trentodoc, ma anche lo Champagne, sono un “lusso accessibile”; è anche la classe media ad accedere a questo tipo di consumo di vini, perciò i dazi avranno inevitabilmente un impatto anche sulla fascia alta del vino».
Può il prodotto americano sostituirsi alle bollicine europee?
«Mentre per alcuni prodotti i dazi potrebbero essere applicati per sostituire il prodotto importato con quello locale, la produzione di sparkling wine americano è molto ridotta e non sarebbe in grado di sostituire le bollicine europee che arrivano negli Stati Uniti. lo sono molto perplesso da questa decisione che, ripeto, non solo penso porterà effetti negativi sull’economia mondiale ma li porterà anche al consumatore americano».
Sulla spinta dei dazi, l’inflazione è destinata a salire.
«Certamente. È molto probabile che i dazi si tradurranno in maggiori costi per i consumatori. I dazi di solito li paga chi importa, quindi ad esempio negli Stati Uniti le società americane che importano vino: con l’effetto che il prezzo finale di vendita sul mercato dei nostri vini sarà più alto. Noi venderemo meno vino, ma la mossa è poco efficace anche per l’America, in quanto si tramuterà in un innalzamento dei prezzi sul mercato a danno dei consumatori».
L’Europa deve negoziare con Trump ma, divisa com’è, c’è il rischio che ciascuno vada in ordine sparso da Trump alla Casa Bianca col cappello in mano. Che ne pensa?
«Da europeista penso che negoziare uniti sia l’unica soluzione. Diversamente, rischiamo di venire schiacciati. Il nostro Paese non ha altra scelta, se non quella negoziare come Europa con gli Stati Uniti. Spero tutto questo possa essere uno sprone a incrementare l’integrazione europea e a dare sempre più forza alle istituzioni europee».
Riaprire la «Via della Seta» con la Cina può essere la strategia alternativa, secondo lei?
«Innanzitutto, voglio pensare che l’alleanza fra Europa e Stati Uniti che è stata costruita in decenni di storia non possa essere comunque cancellata da un singolo presidente nel giro di qualche mese; un’alleanza storica non può essere mandata al macero così facilmente. La Cina è un mercato importantissimo anche per i beni di lusso; quindi, un atteggiamento di apertura e dialogo con la Cina deve esserci. In questo momento, però, l’Europa deve avere il coraggio di proporsi sulla scena mondiale con la propria identità e con la forza necessaria per cercare i propri equilibri; se poi gli americani dovessero continuare a mostrare questo atteggiamento, evidentemente anche l’Europa dovrà giocare la sua partita in tutto il mondo».
Dica la verità, se l’aspettava si arrivasse fino a questo punto?
«Onestamente no. Mi aspettavo che Trump potesse mettere dei dazi, ma non mi aspettavo un’escalation così brutale e scomposta. Ripeto, spero che almeno sia per l’Europa un’occasione per trovare una maggiore forza e coesione per dialogare e negoziare con l’America e non solo».
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