il processo
sabato 21 Ottobre, 2023
di Davide Orsato
«Quel carico di legname valeva trecento euro. Non ucciderei un uomo per nessun motivo e non ho mai fatto del male a nessuno. Per trecento euro? Affatto». Per la prima volta dal 3 giugno 2022 David Dallago parla nell’aula d’assise del tribunale di Trento nel processo che lo vede come unico imputato per omicidio. Lo fa per quasi cinque ore, dalle 12.51 alle 17.30, sottoposto a una raffica di domande da parte del pubblico ministero Antonella Nazzaro e degli avvocati delle parti civili. Legali che rappresentano i figli e la sorella di Fausto Iob, il custode forestale, guardiano dell’orso di San Romedio, l’uomo che è stato accusato di aver ucciso con diciotto colpi alla nuca sferrati con un corpo contundente mai trovato. Ha parlato senza mai tentennare, rispondendo a tutte le domande e, spesso, aggiungendo dettagli. Con due punti fermi sulla sua linea difensiva. Il primo: l’orrore per il sangue: «Sono stato traumatizzato dopo aver visto mio padre uccidere degli animali, non mangio carne. Quando facciamo grigliate mi preparano apposta del pesce per me». Il secondo: la gigantesca pressione dovuta alla serie di sfortune che l’hanno colpito nello stesso periodo in cui è stato rinvenuto il corpo di Iob. Una grave diagnosi che ha riguardato la figlia appena nata, che ha cambiato la sua vita. Ma anche la vicenda (archiviata dalla Procura) di quella minaccia che, a quanto afferma, gli avrebbe fatto un amministratore locale: cinquemila euro per non dire a nessuno del furto di legname. «Mi ha mandato in tilt — afferma — per questo ho fatto delle omissioni». Le più gravi: non aver detto di aver rivisto Iob rientrare da Coredo al cantiere forestale (e dunque, presumibilmente, di essere stato tra gli ultimi a vederlo vivo) il giorno della scomparsa, la presenza dell’auto di Iob al momento in cui lui, Dallago, ha lasciato il posto e il telefono cellulare completamente da buttare perché bagnato e non funzionante sempre dallo stesso giorno. Poi l’«errore» dell’auto: aveva detto di aver usato la Panda del padre al posto della sua Kia. «Mi confondo sempre tra le due», ha spiegato. Ma sull’auto è arrivato anche un’importante ammissione: «Sì, l’ho lavata in aperta campagna — ha detto — mi aveva preso il panico e non sapevo che fare: su quella stessa auto avevo dato in passato un passaggio a Iob. Contraddizioni ripetutamente sottolineati da pm e dai legali di parte. «Sì, ho detto delle bugie — la spiegazione — per questo motivo mi sono inguaiato e sono finito qui, ma non ho fatto del male a nessuno». Fino appunto al furto di legname. Dallago ha ammesso di aver rubato in altre due occasioni e di aver già pagato con la giustizia. Ma Iob, ha aggiunto, non lo voleva licenziare dopo aver scoperto il furto di alcuni quintali di legna di proprietà del comune di Sanzeno: «Mi aveva detto solamente di riportarlo entro il lunedì». Sarebbe riuscito a mantenere la promessa? «L’avrei sostituito, Iob non se ne sarebbe accorto», ha affermato. Cinque i testimoni sentiti la mattina. Per la prima volta ha parlato anche Rossella, moglie di Dallago. «Quel tre giugno dopo essere stato in cantiere, mio marito è rientrato a casa — ha detto —. È in carcere ingiustamente, lui è un buon padre di famiglia e mia figlia ne è stata privata».
Alla fine, la corte (Claudia Miori e Greta Mancini i giudici togati) ha respinto la richiesta di scarcerazione da parte dell’avvocato di Dallago, Angelica Domenichelli. Si ritornerà in aula il 3 novembre: sarà passato un anno e cinque mesi dall’omicidio.
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