L'intervista

mercoledì 9 Agosto, 2023

Delitto di Rovereto, il direttore del dipartimento di salute mentale: «Chukwuka visitato un anno fa e ritenuto non pericoloso»

di

Claudio Agostini: «Non era in cura da noi. Serve fare rete»
Claudio Agostini

A due giorni di distanza dal femminicidio di Rovereto che ha lasciato attonita tutta la comunità trentina una domanda continua a emergere rispetto alle altre: com’è possibile che una persona, Chukwuka Nweke, che si era resa protagonista di episodi di violenza gravi ed evidenti, fosse in libertà e senza una supervisione da parte delle forze dell’ordine o dell’azienda sanitaria? Il Servizio di salute mentale, per voce del suo direttore di dipartimento Claudio Agostini, spiega che a loro nessuno aveva mai segnalato l’uomo.

Direttore Agostini l’uomo era seguito dal servizio di salute mentale?
«Non era seguito, mai segnalato, mai avuto contatti con il servizio né con il pronto soccorso»

Però una visita psichiatrica c’era stata…
«Sì, risale all’episodio di un anno fa, in seguito del quale fu condotto al carcere di Spini di Gardolo. Lì, come da prassi, fu sottoposto ad una consulenza psichiatrica. Non posso dire molto perché c’è la riservatezza ma diciamo che Nweke Chukwuka fu giudicato lucido, perfettamente collaborante e senza evidenti problemi di natura psichiatrica».

Chi avrebbe potuto segnalare?
«Chiunque, siamo un servizio aperto. La segnalazione sarebbe potuta partire dalle sorelle, da un amico o un collega, dalla polizia così come dagli assistenti sociali o dal medico di base. Noi di fronte a segnalazioni credibili ci attiviamo subito e cerchiamo di creare una rete per comprendere e valutare se la persona ha bisogno di assistenza psichiatrica».

Le sorelle dicono di aver chiesto aiuto.
«E io non dubito della loro parola, ma non dubito neanche dei nostri professionisti di area che dicono che con noi nessuno si è fatto avanti. Quindi sicuramente loro hanno fatto una segnalazione, ma che non è arrivata fino al servizio di salute mentale. Ci tengo anche a precisare che violenza non significa necessariamente problema psichiatrico».

Si parla tanto di Tso, chi avrebbe dovuto chiederlo?
«Facciamo chiarezza. Il Tso è l’unica eccezione prevista rispetto al dettato 32 della Costituzione che prevede che le persone si sottopongano alle cure solo con consenso informato. Perché si possa applicare un Tso devono essere rispettati tre criteri: alterazioni psichiche tali da richiedere interventi terapeutici urgenti, l’indisponibilità del paziente a sottoporsi alle cure nonostante vari tentativi e l’indisponibilità di tempestive misure sanitarie extraospedaliere. Per il caso di Rovereto restiamo al primo criterio: la premessa non è la violenza, ma gravi alterazioni psichiche. Noi non sappiamo in che condizioni stava quel signore quella sera, ma nell’unica valutazione precedente non era emerso nulla. Non si può dare per scontato che fosse in uno stato di alterazione mentale. Da quello che ho letto mi viene da pensare che questi episodi di violenza si sviluppavano in coincidenza di bevute pesanti. Ricordo che essere ubriachi quando si compie un reato è un aggravante e non una scusante».

Si è parlato anche di Rems e di aumentare i posti.
«Partiamo da un dato, al momento in Italia abbiamo circa 700 persone in lista di attesa per accedere alle Rems. Perché? Il legislatore aveva stimato i posti basandosi sullo storico di occupazione nei vecchi Opg (ospedale psichiatrico giudiziario). Quello che è successo è che mentre l’Opg aveva uno stigma che spingeva i magistrati a cercare di evitare di mandare lì le persone se il quadro clinico non era davvero grave, le Rems non hanno quest’aura negativa e quindi la magistratura è più incline a utilizzarle maggiormente. Questo ha fatto saltare il banco. Lo dico per far capire che se anche passassimo dagli attuali 10 posti nella Rems del Trentino Alto Adige a 20 si riempirebbe subito perché per legge dobbiamo accogliere chi si trova in lista di attesa. Chiariti questi due aspetti mi lasci dire una cosa».

Prego.
«Mi sembra che stia passando il messaggio che esiste una soluzione semplice, fatta di Tso e Rems, che risolverebbe il problema, ma che non viene attuata per ignavia. Non è così e non ci si rende conto della situazione in cui ci troviamo. I disturbi mentali dopo la pandemia sono sestuplicati secondo uno studio di Lancet. Ai tanti adolescenti usciti a pezzi dai lockdown, con comportamenti che vanno dall’isolamento fino all’autolesionismo, si aggiungono anche migranti che arrivano con profondi traumi. Frutto di guerre, di aver perso i genitori o di quanto vissuto durante la traversata. Queste persone hanno assetti disarmonici e quando arrivano in Italia sono e siamo di fronte a un bivio: possono peggiorare verso quadri di violenza, anche efferata, oppure diventare percorsi di riscatto e rinascita. La cosa preoccupante è che questo è spesso frutto della fortuna, quando dovrebbe invece essere il risultato di servizi capaci di accogliere e aiutare».

Può farci un esempio?
«Un nostro collaboratore bravissimo è africano. È stato un bambino soldato, ha ucciso, poi è scappato. Una volta arrivato in Italia non aveva prospettive e quindi ha iniziato a spacciare ed è finito in carcere. Lì però ha avuto la fortuna di incrociare padre Fabrizio Forti. Ha colto questa opportunità e si è ricostruito una vita e adesso è una persona splendida e un collaboratore prezioso che aiuta gli altri. Dico questo per far capire che dobbiamo affrontare il problema con serietà. Non è credibile riaprire i manicomi, non lo sono nemmeno respingimenti e rimpatri. L’unica possibilità è quella di rimboccarsi le maniche, potenziare i servizi e fare rete, ognuno facendo seriamente la propria parte. Non lo dico per buonismo, sono di Rovereto soffro per quanto successo, ma credo davvero che il problema non vada ignorato, ma affrontato risolto e mitigato».

Emarginare acuisce i problemi?
«Da un punto di vista clinico è ormai evidente che marginalità e povertà creano malessere, che diventa disagio, che diventa patologia che può sfociare nella violenza. Il mio invito è quello di uscire da assetti ideologici che hanno dimostrato di non funzionare. Proviamo a imparare da chi fa meglio cosa attenua l’emergere di disagi. Facciamolo in maniera laica, uscendo dalla polemica politica. Se non lo facciamo la situazione rischia di scoppiarci di mano. Accettiamo che il fenomeno esiste e che dobbiamo gestirlo».