Il caso
mercoledì 13 Dicembre, 2023
di Benedetta Centin
«Non vogliamo puntare il dito contro nessuno, chiediamo solo sia fatta chiarezza su quanto accaduto, sulle cause delle lesioni riportate dalla nostra cara. Quello che ci è stato descritto, e cioè che si sarebbe impiccata usando il laccio di una scarpa come cappio, lei che pesava circa ottanta chili, ci lascia perplessi, anche perché a stretto giro avrebbe potuto beneficiare di misure alternative. Vogliamo solo capire…».
Parlano per il tramite del loro avvocato, Nicola Nettis, la mamma e lo zio della bolzanina di 37 anni, detenuta da due anni nel carcere di Spini di Gardolo, che sabato 2 dicembre è stata soccorsa, in condizioni disperate, nell’area docce della sezione femminile della struttura detentiva. Trasferita d’urgenza all’ospedale Santa Chiara di Trento ed accolta nel reparto di terapia intensiva, è stata dichiarata morta dai medici a distanza di tre giorni, martedì 5 dicembre. Una tragedia per la quale la pubblico ministero di turno, Antonella Nazzaro, ha aperto un fascicolo, un’iscrizione a modello 45, senza indagati né ipotesi di reato. Nei prossimi giorni l’avvocato Nettis incontrerà il pm che, proprio per fare chiarezza, potrebbe delegare eventuali accertamenti medico legali, tra cui l’autopsia.
A far sorgere dubbi ai parenti sul fatto che la 37enne abbia potuto togliersi la vita c’è anche la prospettiva che questa aveva di poter lasciare la struttura detentiva prima di finire di scontare la pena (le mancava ancora un anno). A quanto trapela la detenuta aveva chiesto di essere inserita in una struttura di accoglienza, per donne in difficoltà, anche in vista dell’inserimento in un programma terapeutico.
La telefonata con la legale
Sconcertata da quanto accaduto anche l’avvocatessa Amanda Cheneri che seguiva la detenuta da tempo. L’aveva sentita l’ultima volta al telefono il 30 novembre. Le due avrebbero dovuto risentirsi il 4 dicembre. Ma quell’appuntamento telefonico non è c’è stato. Nessun contatto più. Ed è arrivata la terribile notizia. Inaspettata, per quanto la bolzanina non avesse mai nascosto il suo stato di insofferenza al regime carcerario. «Non so cosa sia accaduto, non so come sia stato possibile una simile tragedia, non dovrebbe succedere, mi dispiace molto» si limita a dichiarare l’avvocata.
Interrogazione del Pd
Sulla tragedia Andrea de Bertolini, consigliere provinciale del Pd, aveva presentato un’interrogazione a risposta scritta alla Giunta provinciale già giovedì della scorsa settimana, appena saputo di quanto accaduto. «La donna, per quanto acquisito da fonti attendibili, versava da molto tempo in uno stato di profonda prostrazione psichica che ne aveva condizionato finanche il suo comportamento intramurario. Più volte aveva espresso di poter esser trasferita in un’altra struttura penitenziaria in ragione di una incompatibilità ambientale maturatasi progressivamente nei confronti di altre detenute» riporta l’interrogazione firmata anche dalla consigliera Mariachiara Franzoia.
I quesiti sono tanti. «Non è dato conoscere quanto tempo sia intercorso fra l’impiccagione e il di lei rinvenimento da parte della polizia penitenziaria con il conseguente intervento dei soccorsi» scrivono i consiglieri, così come «non è dato conoscere come la detenuta sia entrata in possesso dei lacci di scarpe, dotazione di cui detenuti e detenute non hanno disponibilità proprio per ragioni di sicurezza». Gli stessi consiglieri Pd hanno anche riportato come «per quanto accertato da fonte attendibile, la detenuta aveva avuto lunghi periodi di isolamento che l’avevano psicologicamente ancor più afflitta». Di qui i quesiti rivolti all’assessore alla salute, politiche sociali e cooperazione, Mario Tonina: e cioè «dal punto di vista generale, se ed in che termini, in quale modo sia stata data esecuzione al Piano prevenzione suicidi all’interno del carcere». La richiesta è anche di riferire su «modalità e orari del soccorso prestato in carcere e del successivo trasporto in ospedale». Ed ancora, se la vittima «avesse avuto ricoveri precedenti, se fosse stata in osservazione nel reparto infermeria» e quale sia stata l’eventuale «cura e assistenza prestata durante la detenzione».
La garante dei detenuti
«Provo un senso di vuoto e di impotenza — ha commentato la garante provinciale dei diritti dei detenuti, Antonia Menghini — Si è fatto e si sta facendo molto all’interno del carcere di Trento, a partire dal piano di prevenzione suicidario, ma va capito se si può fare ancora di più».
Fra il 2013 e il 2018 sono stati sette i detenuti che si sono tolti la vita a Spini di Gardolo. Nel 2023, fino a settembre, si sono registrati 57 atti di autolesionismo e 4 tentativi di suicidio. L’ennesimo, a inizio mese, ha avuto il terribile esito.