L'intervista

domenica 26 Novembre, 2023

Diciotto anni di Keller: «Casa editrice nata con i miei risparmi da panettiere. Il primo libro, l’idea di chiudere e la svolta con Herta Müller»

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Il direttore Roberto Keller ripercorre la storia e traccia le traiettorie future: «In estate una nuova collana di classici moderni dall'Europa centrale e orientale»

Pubblichiamo di seguito l’intervista all’editore Roberto Keller condotta nel percorso di alternanza scuola-lavoro de «il T Quotidiano» per avvicinare ragazze e ragazzi alla lettura e alla conoscenza dell’informazione.

 

La casa editrice Keller, fondata nel 2005 a Rovereto, compie 18 anni. «È nata con i risparmi da panettiere. Poi il primo libro, l’idea di chiudere e la svolta con Herta Müller». Il direttore Roberto Keller ripercorre la storia della casa editrice e traccia le traiettorie future.
Roberto Keller, qual è il suo ruolo all’interno della casa editrice Keller?
«Più l’editore è piccolo meno preciso è il ruolo, nel senso che più ruoli si concentrano su di una persona. Io sono il fondatore e il titolare della casa editrice Keller e anche il direttore editoriale. Se poi ci sono da fare revisioni o cose simili mi presto: per esempio curo la parte saggistica, per quanto riguarda l’editor, la revisione, la traduzione e la grafica».
Quando è nata la sua casa editrice?
«È nata nel 2005, a novembre ha compiuto i diciotto anni. In realtà sono pochi per una casa editrice, la quale arriva a regime del mercato nazionale intorno ai trent’anni. Se guardiamo le più importanti case editrici italiane sono tutte nate all’inizio del Novecento o poco prima della sua metà. La Keller è nata con pochissimi libri e pochissimi soldi, proprio una ‘one man band’, con due titoli iniziali: era uno dei rarissimi casi in cui erano italiani, perché la casa editrice ha questa rigidità di fare solo traduzione. Due libri, uno era una raccolta di racconti sul tema del fiume e l’altro di un giovane autore peruviano, Santiago Nuncapiono, che qualche mese dopo ha vinto il premio Nadal de Novela, che è uno dei grandi premi spagnoli-americani. Appunto lo spagnolo è una delle grandi ‘lingue mondo’, chiamiamole così, quindi pubblicare in spagnolo vuol dire avere un mercato di accesso importantissimo, non solo Spagna ma anche Sud America e in parte Asia. Ovviamente lui dopo avere vinto questo grande premio passò a un grande editore italiano, Guanda: noi eravamo molto contenti per lui perché non avevamo una struttura per sostenere un autore che stava diventando così importante; poi però è tornato e si è inserito nel catalogo Keller con un nuovo libro. Con qualche libro all’anno siamo arrivati al 2009 con molte incertezze e con una mezza idea di chiudere. Ma è arrivata questa cosa fortunata e importante che è stata il premio Nobel a Herta Müller, che ha sancito la nuova nascita della casa editrice, non solo per le risorse in più ma anche perché ovviamente ha fatto conoscere il marchio ‘Keller’. Da lì si è dovuto ripartire, perché in editoria bisogna dimostrare che certe cose non sono solo fortuna, e piano piano la Keller è cresciuta: adesso è diventata una casa editrice stabilmente di livello nazionale e indipendente, che è al pari di tanti altri editori d’Italia».
Riguardo invece ai temi trattati nelle vostre collane?
«Il tema è interessante: il Trentino, lo si sente vivendoci, è una terra di confine, perciò la mia idea era di pensare a questo confine non come un confine subìto, quindi con una guerra mondiale, ma un’idea di un confine attivo, positivo, una sorta di membrana porosa dove le cose passano. Infatti l’idea è di andare a vedere le cose che ci interessano in Europa e riproporle sul mercato italiano; ovviamente l’Europa è una terra che ha molti più confini che nazioni, molte più lingue che stati, molte più etnie che istituzioni politiche, ed è una sua caratteristica molto affascinante».
Quindi quante collane avete?
«La casa editrice ha quattro collane, e adesso ne uscirà una quinta. Le quattro collane sono due collane di narrativa, che si chiamano ‘Via e passi’: sono le prime nate, piaceva l’idea che nel nome ci fosse un movimento sia orizzontale che verticale; le altre due collane si chiamano ‘razione K’, ovvero le porzioni costruite ad hoc per fornire le calorie giuste ad un soldato in missione, e qui piaceva giocare sulla ‘razione’ e la ‘K’, il marchio della Keller, collana che ha vinto premi anche storici. Infine l’ultima nata è invece una collana di saggistica vera e propria che si muove tra storia, antropologia e filosofia, il tutto sempre con autori internazionali. L’ultima che nascerà dopo l’estate, vi do una piccola anteprima, si chiama ‘Mokla’, ed è l’acronimo di Classiche Hausmittel-Osteuropa: è una collana di classici moderni dall’Europa centrale e orientale, che vuole dare attraverso una nostra scelta di questi classici che danno la nostra idea dell’Europa centro-orientale, e anche una possibilità di conoscere questi classici spesso sconosciuti in Italia in maniera molto obliqua e originale, una sorta di nuova biblioteca dell’Europa centro-orientale che uno potrebbe avere in casa e che gli racconta un mondo come in realtà non hanno mai raccontato prima».
Quali tipi di libri predilige leggere nel suo tempo libero?
«Allora io sono sempre stato un grande appassionato di storia, quindi prediligo molto la saggistica e ho una grande predilezione per l’epoca romana e medievale, però nel mio tempo libero leggo tutto quello che mi capita. Il dramma è che chi lavora con scritture spesso deve combattere per trovare il tempo per leggere cose per piacere e non solo per lavoro. A me piace molto appunto la saggistica, ma amo molto anche la letteratura: ecco c’è un filone che secondo me resta abbastanza forte nel catalogo Keller, nel senso che spesso abbiamo romanzi che raccontano i grandi cambiamenti epocali dell’Europa centrale oppure storie minori o familiari che incrociano la grande Storia. Capitano a volte delle situazioni fortunate in cui il tuo gusto personale incrocia il mood del momento: ad esempio noi abbiamo acquistato un paio di anni fa ‘Il fungo e la fine del mondo’, di Anna Zing, un’antropologa americana e giapponese. Segue molto gli argomenti legati alla natura e alla biologia ma in particolare il fungo Matsutake, l’equivalente del tartufo bianco italiano in Giappone, ha anche lo stesso odore molto forte. Per loro però ha un valore simbolico fortissimo perché per i giapponesi è il primo essere vivente ad essere nato sui disastri nucleari di Hiroshima e Nagasaki. La particolarità di questo fungo è che nasce solamente nei territori perturbati dalla presenza umana. Insomma quando abbiamo acquistato questo libro ci sembrava molto interessante dare un taglio diverso dal punto di vista ecologico. È diventato un libro di riferimento nel mondo dell’ecologia, tanto che in tantissime università italiane fu adottato in lingua inglese».
Quanto vendono libri di questo tipo?
«Diciamo che è sempre brutto parlare di cifre, ma un editore medio va dalle mille copie in su. Bisogna tenere conto che per arrivare ad un pareggio dei costi si devono vendere al minimo duemila copie. La maggior parte dei libri in Italia vende molto molto meno, quindi è un mercato antieconomico in partenza, quello dell’editoria. Grandi aziende infatti vengono da grandi capitali o da storie industriali, e tanti dei grandi marchi italiani sono nati da grandi disponibilità finanziarie. La fortuna degli editori è trovare dei bestseller che sostengano l’investimento del resto del catalogo. La casa editrice Keller resta ancora un’eccezione molto forte, essendo nata con pochissimi capitali fatti da me lavorando facendo il panettiere quando ero all’università».
Ha sempre voluto fare questo lavoro?
«No, io in realtà ho fatto come tutti molti errori nelle scelte di vita, ero molto innamorato dei boschi e avrei voluto fare scienze forestali, ma non potevo per motivi familiari, e allora ho perseguito l’altro mio interesse, ovvero la storia. Mi sono laureato in un percorso storico di filosofia teoretica nella facoltà di lettere a Trento. Ho fatto vari lavori, ma mi è sempre rimasta la voglia di sperimentare con l’editoria e quindi sono andato a Milano, dove ho fatto un corso e ho lavorato alla Marcos y Marcos, una casa editrice indipendente dove ho cominciato ad apprendere il mestiere. Poi sono tornato in Trentino, scelta molto difficile perché i due poli dell’editoria nazionale sono appunto Milano e Roma. Comunque nel tempo i mestieri si imparano facendo, non servono solamente i percorsi di studio, specialmente per i lavori più creativi. Così anche l’editore lo si impara facendolo, pubblicando diversi tipi di libri per mantenere un certo tipo di qualità e di curiosità. Alla fine con grande fatica ce l’abbiamo fatta, abbiamo ideato percorsi nuovi per arrivare ad essere dove siamo. Un grande successo della casa editrice è il marchio: la casa editrice, pur non essendo tra i grandi editori del mondo finanziario ed economico, è comunque una casa editrice che è conosciuta per il suo marchio, e quindi quando andiamo in libreria ci capita spesso che i librai ci dicano che i clienti vengono a chiedere: “Cosa è uscito di Keller questo mese?”, il che vuole dire che si è creata una fedeltà con i lettori e si ha portato un taglio nuovo di libri un po’ diversi».
Per lei, come dovrebbero essere scelti i libri da pubblicare quando vengono mandati scritti da neo scrittori?
«Io occupandomi solo di narrativa straniera e saggistica straniera non guardo manoscritti, però ad esempio il mercato americano spesso ce li manda; mentre sul mondo europeo noi prendiamo in mano solitamente libri stranieri poco prima dell’uscita o usciti da poco. Le strategie sono due: una che rimane stabile sempre, ovvero quella di pubblicare ciò che si vorrebbe leggere, la strategia che adotto io di solito; l’altra strategia è di non ripetere sempre le stesse scelte. I lettori spesso seguono la casa editrice che ha gusti simili ai propri. Lavorare con i manoscritti è un mestiere un po’ diverso, perché lì si deve lavorare su un libro che si deve anche costruire».
Per il momento avete in mente uno sviluppo?
«Non uno sviluppo narrativo, ma legato al reportage stiamo lavorando su un progetto di due uscite semestrali antologiche a tema, dove coinvolgere anche autori italiani. Però questo diciamo che è un progetto per l’anno prossimo, che è un’evoluzione più analitica all’interno di Razione K. Abbiamo invece un progetto chiamato “Geografia sul Pasubio” per cui portiamo reporter da varie parti d’Europa in montagna per quattro giorni e si discute di vari temi, per esempio quest’anno si parla molto di centro e est Europa».
Cosa ne pensa dei libri autopubblicati?
«Allora, in generale ci sono molti più libri pubblicati di una volta: quando sono nati gli stampatori e gli editori come Mondadori si parlava di poche migliaia di nuovi titoli all’anno, mentre adesso siamo nell’ordine di sessantamila e novecento titoli all’anno. La produzione negli anni si è impennata, e tanti di questi titoli probabilmente sono autopubblicati. Io non ho giudizi in merito, nel senso che penso che l’editoria sia democratica, e quindi è giusto che ci sia un libro per tutti i gusti. Non ho un giudizio morale tra editoria ‘di serie A’ e editoria ‘di serie B’, perché io personalmente amo questo tipo di editoria ma c’è chi ama i libri di meccanica, chi ama le guide turistiche, chi ama le guide di auto aiuto; intendo che c’è di tutto, ed è giusto che sia così. L’autopubblicazione però ha un limite secondo me, ovvero che tutto il sapere che c’è all’interno di una filiera editoriale magari nell’autopubblicazione non c’è: un libro prima di uscire, uso come esempio i libri Keller, viene tradotto, viene revisionato, quindi avviene un dialogo con il traduttore che arricchisce il testo. Diciamo quindi che c’è un sapere che rischia di non essere usato, però è fattibilissimo farlo, ci sono probabilmente moltissimi successi in questo ambito, dopo i quali gli autori autopubblicati vengono richiesti dai grandi marchi. Comunque non ho un giudizio negativo, dico solo che all’interno del libro c’è un lavoro di tante produzioni, quindi rischia solo che la qualità di un testo poi ne risenta».
Perciò non pensa che questi in qualche modo vadano ad inquinare la letteratura moderna?
«Noi viviamo in un mondo complesso, le voci che sentiamo ogni giorno sono tantissime, dalle notizie che arrivano in continuazione – che siano scritte bene o male – ai libri che arrivano in continuazione, eccetera. È sempre più difficile scegliere e fare emergere la qualità. Però io non vedo altro obiettivo in una casa editrice se non di diventare un punto di riferimento per la qualità. L’altra cosa che mi chiedo è se noi come editori abbiamo gli strumenti per capire cos’è di qualità e cosa no. In ogni caso non è il fatto che un testo sia autopubblicato a fare la differenza tra qualità o meno, ci sono delle cose che si perdono però ci sono delle cose che magari si scoprono dopo».
Ci sono degli autori che vorrebbe tradurre in futuro?
«Penso che se qualcuno mi chiedesse quale fosse il mio desiderio direi che non vorrei occuparmi più di così tante cose pratiche ma fare scouting, che è andare alla scoperta di nuovi libri. Lo faccio già, però spesso di notte perché di giorno c’è da dirigere i lavori e i lavoratori. Anche il lavoro sul testo mi manca molto. Dico sempre questa cosa, che quando ho scelto questo mestiere ho avuto la percezione che fosse innanzitutto un lavoro libero, perché investivo i soldi che riuscivo a trovare in libri che volevo pubblicare, quindi avevo la libertà di pubblicare ciò che volevo. L’altra cosa che dico è che questo lavoro è come fare lo studente a vita, perché la casa editrice come la intendo io è proprio un percorso di crescita continua e curiosità. In questo senso mi piace molto, ho scoperto tantissime cose. A breve usciremo con una serie di libri sul Caucaso e sull’Asia centrale, perché penso che sia un’area del mondo che diventerà sempre più importante e che è praticamente sconosciuta».