L'intervista

domenica 5 Febbraio, 2023

Dieci anni di Muse: «Volano di sviluppo e leader scientifico»

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Dal 2013 oltre 4 milioni di visitatori, 500mila nel 2022. Il direttore Michele Lanzinger: «Scelta illuminata rispetto a un centro commerciale»

«La conversione ecologica potrà affermarsi soltanto se apparirà socialmente desiderabile», la frase pronunciata nel 1994 da Alexander Langer come mantra di riferimento. «Dilettando educa», la scritta che appariva sui vecchi portoni di alcune parrocchie, quale modalità di avvicinamento alla conoscenza.
Ad avere ben presenti queste coordinate è il direttore del Muse Michele Lanzinger, nella consapevolezza che solo guardando all’indietro sia possibile proiettarsi al futuro. Ce lo dice mentre si avvicinano le celebrazioni per i dieci anni del Muse, Museo delle scienze di Trento, inaugurato il 27 luglio 2013. Dallo scorso dicembre, Lanzinger – che ne è alla guida dal 1992, quando ancora si chiamava Museo Tridentino di Scienze Naturali e sorgeva nel cuore della città – riveste anche il prestigioso incarico di presidente di Icom, il principale network italiano di musei e professionisti.
Sostenibilità, antropocene, rapporto con la cittadinanza, inclusività, accessibilità, andare oltre la logica delle grandi mostre, necessità di intrecciare scienza e umanesimo e di estendere le collaborazioni, sono i concetti chiave sui quali il museo concentra le proprie energie.
Direttore Lanzinger, sono già dieci anni di Muse, tempo di bilanci e di prospettive.
«Con la soddisfazione di vivere un momento di riappropriazione della dimensione pubblica e sociale dopo il Covid, guardo all’anniversario attraverso due orologi. In primis, sono dieci anni che confermano la scelta illuminata di chi ha preferito un museo a un centro commerciale o a un cinema multisala. Una scelta nuova in un contesto di tradizionale ripensamento di un’espansione urbanistica».
Il secondo?
«Riguarda il cambiamento intervenuto nella visione di museo negli ultimi tre decenni, passando da quella tradizionale della collezione come valore fondante a quella odierna, che ci pone tra i musei nazionali e internazionali di maggior respiro e rilievo. Lo possiamo affermare sulla base di indicatori scientifici, in base ai quali il nostro team di ricerca è inserito in progetti europei, pubblica a livello internazionale, è riconosciuto nella sua autorevolezza scientifica».
Dal punto di vista del numero di visitatori, si avverte la ripresa del dopo Covid, e quanto incidono gli studenti sul totale?
«Prima di Natale il Muse ha superato i 4 milioni di visitatori. Stiamo tornando a valori di frequentazione del tutto confrontabili con il periodo pre-Covid, tra Muse e sedi periferiche nel 2022 i visitatori sono stati oltre 500mila, di cui all’incirca 200mila studenti, circa il 70 per cento provenienti da fuori Trentino. La componente di turismo scolastico è molto forte, ma abbiamo un’ottima frequentazione anche da da parte dei turisti, sia come arrivi primari, sia per quelli che nel Muse hanno identificato “un salvagente di valore” per la giornate di brutto tempo».
Quali valori sostengono la politica culturale del Muse?
«Un’idea di territorio che pone la natura al centro e in relazione alla qualità di vita percepita dai suoi cittadini, in una dimensione di sviluppo in cui biodiversità e clima rivestono un ruolo cruciale. A ciò si aggiunge la questione, non secondaria, dello sviluppo locale, in cui entra in gioco la componente economica. Il Muse si è inserito come destinazione turistica di qualità, lo si può misurare in maniera oggettiva con parametri facili, dal numero dei pullman di visitatori e dal bigliettaggio».
Nella consapevolezza che la funzione del museo si spinga oltre.
«In tal senso, una componente emersa in modo insistente nell’ultimo decennio è quella sociale del museo, in cui inseriamo il rapporto con la cittadinanza e tutta una serie di progetti che mettono al centro le abilità o le disabilità dei nostri visitatori, il concetto di inclusività e di accessibilità, che non è solo fisica ma anche cognitiva e psicologica».
Quanto ha influito l’architettura del museo di Renzo Piano sul suo successo?
«I primi anni di apertura del Muse abbiamo svolto diverse indagini sul pubblico dei visitatori, e quelli che venivano appositamente per l’architettura di Renzo Piano si attestavano attorno al 14 per cento. I visitatori hanno una consapevolezza specifica su questo aspetto, la percezione di qualità dello spazio espositivo continua a essere altissima. La sua bellezza è uno degli elementi iconografici, l’alleanza tra segno architettonico e contenuti è una formula vincente».
Come è cambiato in questi dieci anni il rapporto con la città?
«La presenza della popolazione universitaria e la vivacità che inizia a caratterizzare il quartiere hanno dato un apporto sostanziale. Noi, come i nostri visitatori, non ci sentiamo in periferia, in meno di dieci minuti il sottopassaggio ci collega con il centro. Alla fine, è anche questione di percezione».
È previsto qualche evento speciale per i dieci anni?
«Siamo in piena programmazione, ma non stiamo modificando in modo radicale il nostro piano mostre. Ci sarà uno spazio espositivo dedicato alla lunga storia del museo, con produzioni multimediali e video che storicizzano questo percorso. Stiamo andando verso un ragionamento che, per certi versi, va oltre una nozione che si era assestata fino alla prima decade del millennio, quella della logica delle grandi mostre. I musei sono luoghi che per la loro ricchezza di collezioni, attività e dialogo con il pubblico meritano di essere visitati e di rivisitati, non devono annientare i propri budget per le grandi mostre, il loro è un discorso continuativo. L’approccio al museo dovrebbe essere quello del “perché non ci torniamo? È stato così bello la volta scorsa”».
Uno sguardo al futuro, anche in relazione ad Agenda 2030.
«In questi dieci anni, tutto il progetto del Muse ha posto al centro lo sviluppo sostenibile e ne ha fatto una chiave di interpretazione, con una sezione al primo piano, di recente riallestita. Ora approfondiamo nuove metafore, tra loro l’idea di antropocene attraverso una serie di attività che si rispecchiano l’una nell’altra. Il nostro mantra di riferimento rimane la frase di Langer “La conversione ecologica potrà affermarsi soltanto se apparirà socialmente desiderabile”».
In ciò si inserisce una dimensione etica, ma anche culturale.
«Lavoriamo molto sugli emisferi emozionali, sul fatto si deve attuare una sorta di convergenza tra un pensiero forte inserito nella missione museo scientifico e il pensiero filosofico e artistico. Palazzo delle Albere permette una convergenza tra Muse e Mart, ritengo sia urgente riconoscere che il sapere non può essere diviso in campi accademici. Non mi riferisco a una concezione olistica, ma a una percezione complessiva in cui il bello abbia a che fare con concetti quali ambiente di qualità, mobilità sostenibile e sostitutiva, tempo libero».
Come bilanciare la componente ludica del museo con un ruolo educativo più profondo?
«Per noi, i due aspetti procedono di pari passo. Al Muse, tutti sono invitati a porre domande, a creare relazioni e provare stupore, è un po’ la dimensione del “dilettando educa”, un tempo riportata sui portoni delle parrocchie».
E per la stabilizzazione del personale, c’è qualche novità in vista?
«Stiamo provando a fare il nostro meglio. Il tema delle esternalizzazioni delle attività educative alle cooperative è un prodotto secondario della legge Ronchey, prima pensata per gli shop e i bar. È stato adottato lo stesso criterio, la formula è quella del lavoro privatistico a tempo indeterminato, ma indubitabilmente l’orizzonte stipendiale non è dignitoso. Ne siamo consapevoli, ma non possediamo gli strumenti per agire e stiamo facendo il possibile attraverso aggiustamenti e modifiche».
Cosa ne pensa dell’idea dell’assessore Bisesti di «dare» al Muse le vecchie caserme austroungariche? E della funivia che collegherebbe Trento al Vason?
«L’ex Centro di ecologia alpina rappresenta sicuramente un patrimonio da valorizzare, potrebbe diventare un luogo di interazione e di dialogo con i temi della natura e del territorio, per contribuire a fare del Monte Bondone la montagna di Trento. Una montagna da lasciare intoccata dal punto di vista di un’ulteriore urbanizzazione e, in tal senso, la funivia non potrà che contribuire a renderla una destinazione senza impatto di traffico, creando una relazione forte con la città. Teniamo presente che stiamo andando verso un cambio climatico, con la previsione di temperature estive molto alte nel fondovalle».