I dati
martedì 3 Ottobre, 2023
di Margherita Montanari
Come se ogni anno si perdesse la manodopera che mette in moto una fabbrica. Il paragone è calzante. Non si tratta di licenziamenti, bensì di lavoratrici che rassegnano le dimissioni e restano a casa dopo un figlio. Nel 2022 sono state 421 le dimissioni per maternità in Trentino, 50 in più rispetto al 2021. Nel 2023, il numero è arrivato già a 291 (gennaio-settembre). Avere tante donne che lasciano l’occupazione per crescere i figli, secondo Walter Largher, già segretario generale Uiltucs Trentino Alto Adige Südtirol e ora in corsa per le elezioni provinciali con il Partito Democratico, è indizio una società che ancora scarica sulla donna la gestione dei carichi familiari, di «assenza o carenza di servizi per l’infanzia» e di «orari lavorativi incompatibili con la vita famigliare e la cura dei figli».
«Ogni anno chiude una fabbrica con oltre 400 posti di lavoro femminili a tempo indeterminato. Scritta così farebbe gridare all’emergenza occupazionale nel piccolo Trentino e invece i posti di lavoro persi, pur essendo gli stessi, ma spalmati durante tutto l’anno, passano sotto silenzio», scrive il sindacalista. I dati li ha raccolti dall’ufficio del servizio lavoro della Provincia. Si tratta di numeri di dimissioni per maternità entro l’anno di vista del bambino o della bambina registrate in Trentino. A guardare i dati, si evince una crescita del fenomeno nel post pandemia. Si parla di 300 dimissioni per l’anno 2020, 373 per l’anno 2021, 421 per l’anno 2022 e di 291 fino a settembre 2023, con un tendenziale a fine anno di circa 400 lavoratrici dimissionarie. I dati del servizio lavoro non specificano all’età delle lavoratrici dimissionarie, né il numero dei figli. Ma la progressione del fenomeno è ben visibile. Un confronto ancor più esteso ne spiega la gravità: nel 2006 le dimissioni per maternità erano 247. In diciassette anni, quindi, sono raddoppiate. Un fardello «culturale», secondo Largher, che vede ricadere sia la gestione dei figli che la cura degli anziani prevalentemente sulle donne.
Il sindacalista, negli anni, si è occupato del settore terziario, che occupa per la maggior parte donne e che raggruppa la porzione più rilevante di contratti part-time, spesso anche involontari. Per sua esperienza, anche il maggior numero di dimissioni legate alla maternità riguardano commesse, cameriere, addette alla pulizia, cuoche e altre addette ai servizi e al turismo. «Le situazioni sono più gravi in alcuni settori, tendenzialmente del terziario, dove gli orari e la flessibilità sono stati spinti oltre limiti incompatibili con le necessità minime organizzative per la cura dei figli», enfatizza il candidato.
L’altra faccia della realtà sono imprese sempre più in affanno a causa della carenza di manodopera. Anche su di loro si riflette l’allontanamento dal mercato del lavoro delle donne, tanto più in settori cruciali per l’economia trentina, come il terziario. «L’assemblea di Confindustria Trento di pochi giorni fa, proprio sul tema delle condizioni di lavoro ha posto, in maniera chiara come non mai, la necessità di creare in Trentino posti di lavoro attrattivi, con un occhio sempre più rivolto alla qualità del lavoro in termini di orario e flessibilità positiva ed in equilibrio con la vita privata», nota Largher. A suo dire, occorre partire dal «valorizzare le diversità cogliendola come opportunità di cambiamento positivo» e da un confronto tra le parti sociali. «Il Trentino può fare questo cambiamento ma deve recuperare quello spirito di innovazione e di frontiera nel mondo del lavoro che negli anni lo aveva messo al centro dell’attenzione anche a livello nazionale, capace di sperimentare in una logica di contrattazione che va sostenuta da politiche attive e di innovazione». I dati raddoppiati delle dimissioni vanno però in senso opposto.