Lo studio di Unitn
lunedì 14 Novembre, 2022
di Redazione
Nella suddivisione delle incombenze familiari tra le coppie migranti conta più la tradizione appresa nei paesi di origine o l’influenza della socializzazione nel nuovo ambiente che le accoglie? E questa situazione è stabile o è destinata a mutare nel tempo?
La portabilità della cultura tra il paese di origine e quello di destinazione è da anni oggetto di discussione, a livello internazionale, tra chi sostiene che i processi di assimilazione e integrazione rendano i migranti sempre più simili alle popolazioni dei paesi di accoglienza e chi ritiene invece ci siano delle diseguaglianze e quindi delle resistenze all’integrazione permanenti.
Il lavoro svolto da un gruppo di ricercatrici e ricercatori del Centro studi sulle diseguaglianze sociali (Csis) del Dipartimento di Sociologia e Ricerca sociale dell’Università di Trento, pubblicato in queste settimane sulla rivista scientifica Demographic Research, conferma l’importanza della componente cultural/tradizionale nella ripartizione di genere dei lavori domestici all’interno delle famiglie immigrate, ma rivela anche il dinamismo e la capacità di apprendimento – e quindi di integrazione sociale – che caratterizza la vita delle famiglie di immigrati nel nostro paese.
Le coppie che arrivano in Italia – si spiega – si portano dietro le loro usanze anche nel modo di ripartirsi il lavoro domestico e i compiti genitoriali. Chi proviene da paesi con una maggiore equità nella condivisione dei ruoli di genere continua a dividersi in maniera bilanciata i compiti riproduttivi. Allo stesso modo, chi era abituato a una suddivisione diseguale, penalizzante per le donne, tende a continuare a praticarla. Con il tempo, però, le cose cambiano. Più passano gli anni dall’arrivo in Italia e più la cultura originaria si affievolisce e le coppie immigrate finiscono per ricalcare la divisione dei ruoli tipica delle famiglie autoctone. «Si registrano così sia coppie che, dopo anni in Italia, connotano il loro ménage in chiave di maggiore equità di genere rispetto a quella che avevano nel paese di origine sia altre che, invece, assumono le diseguaglianze delle famiglie italiane nella ripartizione di lavori domestici e cura di figli e figlie a dimostrazione di come caratteristiche situazionali, modalità di organizzazione familiare, vincoli e possibilità offerte dal contesto di accoglienza prevalgano su aspetti social-costruttivisti di natura valorial-culturale apparentemente profondi e radicati».
L’articolo di ricerca è stato scritto da Elisa Brini, post-doc al Csis al tempo dello studio e ora ricercatrice all’Università di Oslo, Anna Zamberlan, dottoranda della Scuola dottorale in Scienze sociali, e Paolo Barbieri, professore del Dipartimento di Sociologia e Ricerca sociale, coordinatore Csis e direttore della Scuola dottorale.
«Sulla base di vari dati disponibili (Social Condition and Integration of Foreign Citizens SCIF survey Istat) abbiamo esaminato fino a che punto la ripartizione del lavoro domestico tra partner migranti residenti in Italia sia correlata alla parità di genere nel paese d’origine. Abbiamo inoltre analizzato il variare dell’importanza della parità di genere nel paese d’origine in relazione a diverse durate di permanenza nel paese di arrivo».
I ricercatori commentano: «Il nostro studio contribuisce alla letteratura sulle disuguaglianze di genere fornendo nuovi dati sulla relazione tra la cultura d’origine e la ripartizione di specifiche attività domestiche e di cura dei figli nelle famiglie di provenienza migrante».