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giovedì 8 Giugno, 2023
di Francesco Terreri e Margherita Montanari
Il gruppo articola il suo business attraverso una serie di ramificazioni. Produzione e vendita di energia, distribuzione di luce e gas, raccolta dei rifiuti, gestione del servizio idrico. Business a cui il piano industriale approvato da Dolomiti Energia Holding nell’ultimo cda punta a dare un indirizzo chiaro. Prevedendo la messa a terra, nei prossimi cinque anni, di un miliardo di euro. Il primo obiettivo è la diversificazione delle fonti di energia. La multiutility trentina continua a scommettere sull’idroelettrico, con 184 milioni di investimenti, ma ne mette il doppio, 333 milioni, su fotovoltaico ed eolico. E mentre si appresta a ridefinire la governance (l’ad e il direttore generale) pensa in grande: alla crescita, con 270 assunzioni, e ad alleanze con altre multiservizi, senza scartare, dice la presidente Silvia Arlanch, neppure l’ipotesi della quotazione in Borsa.
Dottoressa Arlanch, lei ricopre l’incarico di presidente da novembre. Come sono andati questi primi mesi?
«Quando sono diventata presidente di Dolomiti Energia, ho riferito al cda quelli che erano e sono i miei obiettivi. Il primo era arrivare all’approvazione di un piano strategico e industriale, fondamentale per tracciare alcune linee e, in coerenza, arrivare alla meta. Ci siamo riusciti a fine maggio, approvando in cda un piano nato dal basso. Anche se sta cambiando la governance, era importante farlo da subito. Ripartire tempestivamente, portando tutti a bordo. Per questo abbiamo voluto condividere nel programma gli obiettivi ed esplicitare la vision del gruppo, che ha sicuramente a che fare con la sostenibilità».
Il piano prevede oltre al mantenimento dell’idroelettrico, la scommessa su altre fonti rinnovabili.
«Visti i dubbi legati al rinnovo delle concessioni e le problematiche apportate dal cambiamento climatico, con il piano cerchiamo di mitigare il rischio diversificando le fonti di produzione. Abbiamo deciso di puntare 333 milioni sugli impianti fotovoltaici ed eolici. L’obiettivo, ora, è raddoppiare l’Ebitda, facendolo derivare per il 50% da fonti idroelettriche e per il 50% da altre rinnovabili entro il 2027».
Per assecondare questo passaggio avete previsto una ristrutturazione della società?
«Una delle linee guida che ci siamo dati prevede la capacità di attrarre nuove competenze. Oggi il Gruppo conta più di 1.400 collaboratori. Abbiamo prefissato l’obiettivo di un incremento del 20% in cinque anni, prevedendo circa 270 assunzioni. Abbiamo già iniziato a collaborare con l’università per attivare stage propedeutici a un rapporto di lavoro successivo».
Uno dei capitoli più importanti è quello delle concessioni idroelettriche in scadenza, che si mescola anche al tema della siccità. Sulle concessioni c’è stata un’apertura del ministro Pichetto Fratin, che ha convinto l’assessore Mario Tonina dell’esistenza di una possibilità per blindare l’oro bianco del Trentino. L’auspicio è di un prolungamento delle concessioni, almeno al 2029 o addirittura per 20 anni. Con il vincolo però degli investimenti. Che investimenti e quanti?
«Siamo coscienti che la norma provinciale prevede questo. Dal piano sono stati previsti 184 milioni destinati in parte al mantenimento e in parte allo sviluppo delle concessioni. Se c’è di mezzo la proroga, servirà essere coerenti con le regole che ci verranno date. Se c’è la necessità di stanziare più fondi, siamo disponibili a fare ciò che è necessario. Abbiamo la capacità per investire».
La partita si intreccia anche con il servizio idrico, da voi gestito.
«Su questo oggi sono più confidente. Le fonti sono in ottima salute, anche grazie all’ondata di acqua arrivata nell’ultimo periodo».
Per mettere a terra gli investimenti in rinnovabili, come vi state muovendo?
«Da qualche mese stiamo lavorando alla creazione un portafoglio di impianti di energia. Stiamo ad esempio valutando un impianto fotovoltaico in Sicilia e un altro in Puglia. Contiamo di mettere a terra già entro fine anno 30-40 megawatt di energia da fotovoltaico ed eolico, corrispondenti a circa 50 milioni di investimento».
Sempre sul capitolo idroelettrico, Macquarie ha messo in vendita la sua quota in Hydro Dolomiti Energia, società idroelettrica controllata dalla multiutility trentina Dolomiti Energia cui detiene il 40%. La quota può valere 450 milioni di euro. In che modalità state gestendo questa partita? De ha il diritto di prelazione: lo eserciterà?
«La società è concentrata su questa partita. La volontà è quella di trovare un partner strategico, più che un fondo; un partner che possa portare al gruppo strumenti per la messa in atto del piano. Mi riferisco, per esempio, ad asset di rinnovabili. Difficile che Dolomiti Energia applichi il diritto di prelazione. Anche perché una delle direttive del Piano è proprio la creazione alleanze di business strategiche».
A proposito, le alleanze – di business e strategiche – sono state un argomento ricorrente negli anni. Sono ancora al vaglio quelle con altre multiutility?
«Le alleanze, ripeto, sono un obiettivo del Piano. Abbiamo la consapevolezza è il momento di crescere».
Guardando a nord, all’Alperia di Bolzano, o a sud, al gruppo Agsm-Aim di Verona e Vicenza. L’elezione di due sindaci di sinistra nelle città venete può fare da sponda per un’alleanza con la municipalizzata trentina?
«Non fa differenza tra nord e sud. Se ci sono le condizioni, siamo aperti a valutare le alleanze strategiche. Chiaro che un accordo con il committente politico rende il tutto più semplice. Con Alperia collaboriamo già in Neogy, la società per l’implementazione delle colonnine di ricarica elettrica di cui abbiamo perché abbiamo al 50%. Con Neogy abbiamo una buona quota di mercato, però l’accelerazione si vedrà nel lungo periodo. A questo scopo, ci serve un partner finanziario».
Negli anni, c’è anche chi ha insistito sull’opportunità che si valutasse la trasformazione di Dolomiti Energia in una società in-house, sul modello della multiutility altoatesina.
«In Dolomiti Energia i privati ci sono sempre stati. Cambiare la compagine sociale e diventare un in-house significherebbe cambiare strategia. Ma escludo che i privati siano interessati a vendere le proprie azioni. Alperia è un modello senz’altro di più di facile gestione. Penso però che la componente privatistica in un gruppo dia sempre uno sprint importante. La collaborazione pubblico-privato è sana. Ha raggiunto un buon equilibrio e consente di lavorare bene all’interno del cda».
Guardando alla governance, in ballo ci sono due nomine importanti: quella del nuovo ad e del nuovo direttore. Come vivete questa fase di transizione?
«L’ad ha annunciato che non sarebbe più stato più disponibile dall’aprile del prossimo anno. Marco Merler, che rappresenta 20 anni di storia, è presente come sempre. Spero che la ricerca del direttore generale si possa chiudere entro l’estate».
Si parlava della necessità di crescere. Il fatto che De sia ormai una grande società comporta un adeguamento, una maggior strutturazione a livello di governance? Magari prevedendo un’organizzazione più simile a quello di una società quotata?
«La società conta già su una struttura dirigenziale di un certo tipo, con 22 manager. Trattandosi di un gruppo grande e variegato, soggetto a normative stringenti, Secondo una recente correzione, si è deciso di dare agli ad di società come Set (la società del gruppo Dolomiti Energia che si occupa della distribuzione di energia elettrica), Novareti (la società che si occupa della distribuzione del gas naturale), e Dolomiti Ambiente (la società che si occupa dei servizi d’igiene ambientale e raccolta dei rifiuti) più continuità e autonomia, slegando gli ad dalle nomine del cda. Come presidente però resto sempre io perché la capogruppo esercita l’azione di coordinamento. Per tutto il resto c’è un comitato esecutivo che funziona molto bene. Chiaro che qualche innesto c’è da fare. Il direttore finanziario (Cfo, necessario alle quotate, ndr) ancora ci manca».
La quotazione in Borsa è ancora un’opzione?
«La quotazione in Borsa è un argomento ricorrente. Fino ad oggi era prematuro affrontarlo, perché non c’era in campo una visione, un piano strategico. Oggi dobbiamo fare una valutazione per capire se siamo pronti a farlo».
In termini di mercato, quale può essere la prospettiva fuori dal Trentino e in quali termini si potrà approfondire?
«Già oggi, dei nostri 700 mila clienti la metà vengono da fuori provincia. Abbiamo l’obiettivo di acquisire nuovi clienti. Questo potrebbe avvenire attraverso l’acquisizione di qualche pacchetto cliente. Ma anche, visto che il mercato della tutela dovrebbe andare a scadere a gennaio 2024, attraverso le aste per acquisire pacchetti clienti che dalla maggior tutela entrano nel mercato libero».
l'intervista
di Davide Orsato
L’analisi del giornalista che ha di recente pubblicato un manuale per spin doctors dal titolo «Non difenderti, attacca» e contiene 50 regole per una comunicazione politica (imprevedibile e quindi efficace)