Il personaggio
mercoledì 15 Marzo, 2023
di Gabriella Brugnara
«La guerra in Ucraina ha sostanzialmente spezzato l’idea su cui era costruita l’economia e anche la filosofia del mondo in cui abbiamo vissuto fino al 24 febbraio dello scorso anno. Quella di un mondo globale dove tutto fosse comunicabile e scambiabile, in cui le merci, le idee e le persone potessero andare e venire senza particolari difficoltà. La guerra ha rimesso in piedi le frontiere, la cortina di ferro, ha accentuato le differenze, separato le economie, diviso nuovamente Est e Ovest sulla base di ideologie contrapposte».
A delineare questa strada «verso un nuovo ordine mondiale» è Domenico Quirico giornalista de La Stampa, che ha seguito in particolare le vicende africane degli ultimi vent’anni dalla Somalia al Congo, dal Ruanda alla primavera araba. Ha vinto, tra gli altri, il prestigioso Premio Indro Montanelli, e tra i suoi diversi libri ricordiamo il recente Guerra totale. La bancarotta bellicista.
Lunedì 20 marzo, in dialogo con la storica dell’economia Vera Negri, Quirico interverrà a «La Cattedra del Confronto», l’apprezzata rassegna proposta dall’area cultura dell’Arcidiocesi di Trento. Si tratta di tre incontri riuniti dal tema «Fine delle certezze e segni del nuovo», in calendario per tre lunedì successivi alle 20.45, a partire dal 13 e fino al 27 marzo nell’aula magna del Collegio Arcivescovile di Trento (parcheggio da via Giusti).
In un’ottica pluridisciplinare, che propone un confronto tra la prospettiva laica e quella religiosa, quest’edizione della Cattedra si aprirà lunedì prossimo sul «futuro della salute» con il teologo Paolo Benanti e la biologa Anna Cereseto, mentre la conclusione, il 27 marzo, sarà sull’«ambiente di domani» con il teologo Martin M. Lintner e l’economista Ignazio Musu.
Dottor Quirico, la Cattedra del Confronto mette al centro la «fine delle certezze». Tra Covid e guerra in Ucraina, quali certezze si sono infrante?
«La pandemia ha eliminato, o quantomeno indebolito l’idea della nostra intangibilità, quella per cui la medicina e la scienza ci rendessero immuni da ciò che consideravamo qualcosa di primitivo, come una pandemia collettiva. Per quanto riguarda la guerra, dal 24 febbraio dello scorso anno viviamo in mondo totalmente diverso, ed è quasi impossibile che si ritorni a quello precedente. Ci stiamo allineando in schieramenti contrapposti, l’Occidente contro l’Eurasia, con visioni del mondo totalmente differenti in cui ci stiamo scambiando e ci scambieremo accuse, insulti, recriminazioni, minacce, cannonate».
Nel suo ultimo libro parla di guerra totale e di «bancarotta bellicista». Per quali ragioni?
«Stiamo vivendo un momento di assoluto caos, non mi pare ci sia un tentativo credibile o possibile di fermare questa guerra, in cui siamo entrati dopo l’aggressione russa all’Ucraina, riaffermando con forza che non facevamo guerra ai russi o alla Russia, ma a Putin e alla sua sciagurata volontà di potenza. Dopo un anno tutto ciò è totalmente superato, facciamo la guerra ai russi, accusati di essere consustanziali, aggressori, feroci, primitivi. Quando si passa dalla responsabilità dei capi a quella dei popoli, il pericolo è enorme. L’elemento dell’odio e del rifiuto dell’altro diventa prevalente, non più discutibile».
A cosa mira Putin con questo conflitto?
«È una guerra in cui ci sono molte guerre infilate l’una nell’altra. Certamente è una guerra per ristabilire la potenza russa imperial-bolscevica ma è anche una guerra di resistenza degli ucraini, che si sono progressivamente scoperti in un’identità di nazione. È anche una guerra geopolitica tra Stati Uniti, Russia e il suo alleato cinese. È una seconda Guerra Fredda».
In fin dei conti, la Guerra Fredda era riuscita a mantenere un certo equilibrio.
«Dopo aver corso il rischio di diventare una guerra nucleare nel ’62, la Guerra Fredda si era sviluppata sulla base di un principio che Stati Uniti e Russia ritenevano intangibile, cioè che il ricorso alle armi atomiche fosse una catastrofe che avrebbe portato a delle conseguenze irrimediabili. Tutti continuano a pensare che sia così e che per entrambe le parti sarebbe una mossa senza possibilità di ripensamento. Non sono così sicuro che oggi sia la stessa cosa».
Parlando di «segni del nuovo», come vede lei una possibile pace?
«Parlare di pace in questo momento mi sembra davvero un’utopia. Nessuno la vuole, non ci sono le condizioni per avviare un negoziato che porti almeno a un cessate il fuoco. Mancano i mediatori, ognuno dei protagonisti è certo di poter vincere. Temo che la prospettiva sia quella di una guerra molto lunga».
Anche l’idea della globalizzazione si sta molto ridimensionando.
«In realtà la globalizzazione nei termini in cui l’abbiamo raccontata non è mai esistita, riguardava solo la parte del mondo più ricca e sviluppata, mentre i due terzi del mondo hanno continuato a vivere come prima. Diciamo che anche quest’idea utopica è finita, basti pensare all’impossibilità di raggiungere certi luoghi, alle economie che si stanno progressivamente diversificando e ai flussi delle materie prime».
Perché ha ritenuto importante raccontare la guerra ai bambini con il libro «Quando il cielo non fa più paura»?
«Tutto nasce da un’idea che ho sempre avuto, cioè che nascondere la realtà ai più piccoli sia un errore. Far loro credere che il mondo sia bellissimo penso sia un errore clamoroso, che poi sconteranno diventando adulti. Meglio raccontare la realtà con dei modi adatti alla loro età».
Lei si è occupato più volte anche di migranti, come si possono evitare altre tragedie come quella di Cutro?
«Nel 2011, quando sono iniziati gli sbarchi sulle coste italiane, ho fatto il viaggio con dei migranti, sono affondato nel Mediterraneo e a salvarmi è stata la guardia costiera. Oggi potrei rifare lo stesso viaggio. Non posso trovare nulla di più semplice per dire che in questi anni nulla è mutato o è stato fatto per evitare che queste tragedie accadessero. Sono cambiati i governi, eppure periodicamente ci dobbiamo chinare su queste orribili tragedie. Evidentemente qualcosa non ha funzionato».
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