L'intervista

martedì 22 Ottobre, 2024

Don Francesco Viganò: «Io prete a 33 anni, voglio conquistare i giovani»

di

Il nuovo sacerdote di Rovereto e della Vallarsa: «La mia scelta una rinuncia? No, spero di vivere una bella vita con Gesù»

Giovane, energico, entusiasta, già proiettato verso una mission particolarmente difficile: dialogare con cuore e intelligenza con i giovani di oggi, per i quali la strada della ricerca, spinosa ed affascinante, si apre presto ed è priva di quei paracarri che potevano assicurare alle generazioni passate maggiore sicurezza, favorendo però anche una fede ricca di automatismi. Don Francesco Viganò, nato in Bolivia il 17 maggio 1991, Paese da cui i genitori ripartirono alla volta di Trento quando aveva appena un anno e mezzo, è il nuovo pastore di Rovereto cui sono toccate le parrocchie di S. Maria del Monte Carmelo, Lizzanella e le nove unità pastorali della Vallarsa (Albaredo, Camposilvano, Matassone, Obra, Parrocchia, Raossi, Riva di Vallarsa, S. Anna, Valmorbia). Insediatosi a Rovereto domenica 13 ottobre (subentrando a don Giuseppe Mihelcic, che a propria volta è andato a svolgere le funzioni di assistente spirituale all’Ospedale S.Chiara di Trento), accolto festosamente dai roveretani, l’altro ieri ha già iniziato anche il giro di Vallarsa, celebrando la Santa Messa a Parrocchia. Figlio di un ex consigliere provinciale, Giorgio Viganò, eletto nel 2003 tra le fila della Civica Margherita, nipote del pavoniano Padre Flavio Paoli, ha fisico da sportivo; bici, montagna ed arrampicata sono hobby che gli permettono, poi, di dedicarsi alla sua passione per la cucina. Lo andiamo a trovare nella canonica di Santa Maria. Polo blu a righe sottili e cellulari a portata di mano, ci accoglie scusandosi per un disordine che solo lui vede. Qualche scatolone ancora da aprire in giro c’è, ma tutto è lindo, preciso, ordinato, ad iniziare dall’elenco degli incarichi lasciati dal predecessore, don Giuseppe, tutto rigorosamente classificato in cartellette colorate: dai lavori di manutenzione per le campane di Vallarsa ai nomi dei cresimandi, dai percorsi in preparazione al matrimonio a quelli per formare Ministri dell’Eucaristia.
Don Francesco, «roveretano» da appena dieci giorni: come è stata l’accoglienza della città?
Molto calorosa, per la verità. Roveretani e parrocchiani di Trento Nord, in cui ero vicario prima, erano tutti insieme, per salutarmi.
Quale mandato specifico le ha assegnato il vescovo?
«L’impegno nella pastorale giovanile; devo seguire un po’ tutte le numerose attività che già si svolgono in città in ambito giovanile, lavorando tra più parrocchie. Con don Marco Saiani, parroco di San Marco e Sacra Famiglia, sono già al lavoro. Il disagio giovanile oggi è piuttosto diffuso ed è importante offrire ai ragazzi luoghi e percorsi di crescita sana, umana, non strettamente ecclesiale, costruendo reti…»
Lei è sempre stato al fianco degli scout, non a caso.
«Assistente spirituale da quando ero viceparroco a Cristo Re. Ora mi hanno chiesto di farlo anche per il gruppo scout di Rovereto, ma è ancora tutto in fieri».
Nasce 33 anni fa in Bolivia, come mai?
«La mia famiglia aveva deciso di vivere tre anni di esperienza missionaria. Quello era un periodo di grande collaborazione tra la diocesi e i frati francescani di Trento con la prelatura in cui vissero i miei genitori, occupandosi tra le altre cose di formazione dei catechisti. Loro desiderio era fare esperienza di servizio come famiglia in una realtà nuova, diversa, povera, condividendo con semplicità la vita delle persone incontrate. Io non ricordo nulla perché facemmo ritorno in Italia quando avevo circa un anno e mezzo. Papà tornò al suo lavoro di insegnante di Religione, mamma a fare la casalinga, abitando a Ischia, vicino a Pergine, poi trasferendoci a Ravina, quindi a Romagnano. Sono cresciuto tra giochi al parco con i miei fratelli e gli amici, giovani della parrocchia, e gruppo scout di Madonna Bianca».
Come maturò la decisione di farsi sacerdote?
«Finito il Liceo linguistico ho lavorato un anno come educatore in una casa famiglia di Sarno, tra Napoli e Salerno. Seguivamo 10 ragazzi tra i 6 e i 16 anni provenienti da situazioni ambientali problematiche. Non avevo escluso la possibilità di diventare prete, ma sentivo forte la voglia di conoscere da vicino quel Gesù di cui mi avevano sempre parlato. Ho iniziato il seminario perché volevo cercare, capire, verificare quale cammino volessi intraprendere, con la serenità di poter anche decidere di lasciare stare. La scelta è stata ponderata, anche se sicuramente impegnativa».
Rinunciare a formarsi una famiglia, in una società narcisista come la nostra, è segno di carattere.
«Credo che una rinuncia la si affronti se si trova qualche cosa d’altro, non per eroismo. Anche chi crea una famiglia deve affrontare rinunce. Io ho la fortuna di vivere un rapporto con Dio che mi sostiene in una vita che spero serena, bella, in cui sentirmi realizzato».
Vocazioni sempre più al minimo storico; eppure i giovani hanno grande voglia di spiritualità ed ascesi, a volte cercata nelle religioni esotiche. Può essere la conseguenza di una scelta esageratamente improntata «al sociale» della Chiesa?
«Sicuramente la domanda di spiritualità c’è, nei giovani e non solo. Sicuramente non sempre trova risposta adeguata, perché si fa fatica a incrociare una ricerca spirituale tanto variegata. La stessa esigenza di preghiera, ad esempio, non è la stessa tra giovani e anziani; i primi hanno bisogno di atmosfera, luci, sottofondo musicale che favorisca un raccoglimento personale, mentre l’anziano di solito preferisce una preghiera maggiormente partecipata. Così la fede cristiana con le sue esperienze di servizio e di volontariato può essere sentita lontana da chi ha esigenze di interiorità, ma può anche succedere che, al contrario, una persona impegnata a favore degli altri, del più povero e indifeso, trovi una risposta alle proprie esigenze personali. Sarebbe bello poter andare incontro a tante esigenze diverse, la Chiesa fa quello che può. Di sicuro c’è il fascino indiscusso della figura di Gesù, che ha molto da dire anche oggi a tutti».
Lei è stato ordinato sacerdote nel 2017, ma ha anche uno zio sacerdote.
«Sì, padre Flavio Paoli, pavoniano che da anni è missionario in Burkina Faso. Sono appena stato a trovarlo. Mi sono fermato da lui due settimane, nel centro che i pavoniani conducono per bambini/ragazzi sordomuti, assieme alla casa di formazione per giovani che vogliano diventare religiosi. Ho visto una chiesa molto diversa dalla nostra, molto giovane, vivace, in un paese a maggioranza musulmana».