L'intervista
mercoledì 14 Febbraio, 2024
di Giovanna Venditti
Compie 106 anni Don Guido Avi. Brillante come sempre, non incalzato dallo scorrere del tempo, eretto nella postura, lucidissimo e dalla memoria intatta, lo incontriamo nella sua casa di Vigalzano.
Ci complimentiamo e lui con un dolce sorriso risponde «Non sono mica vecchio!». L’unica criticità che l’età gli ha portato è quella di essere diventato un po’ sordo. Si racconta, infatti, che in occasione dell’omelia della Messa per i suoi cento anni, abbia esordito, in buon dialetto trentino, dicendo: «Mi no g’ho fretta de nar, perché anca se el Signore el ciama, mi son sordo e no sento». La storia di Don Guido è ormai nota: quinto di quindici figli, è nato il 14 febbraio del 1918, nell’allora Impero Austroungarico. Ha attraversato decenni di storia e di cambiamenti senza perdere le sue caratteristiche primarie: l’amabilità, una sottile ironia e una fede incrollabile in Dio. Si racconta volentieri, vive di ricordi, si definisce «zingaro di Dio» per i suoi lunghissimi anni di sacerdozio in più territori del Trentino. Soprannominato «Don Torta» perché a Cristo Re raccoglieva offerte con la vendita dei proventi delle torte delle parrocchiane.
Cosa si prova a questa età?
«È come andare sull’Ortles e guardare dall’alto i miei anni, la mia esistenza… Da questa montagna di anni il mio pensiero va al mio papà che a vent’anni è andato in America a lavorare come minatore, per poi tornare qui a coltivare la terra. È morto nei campi, cadendo da una pianta. Le sue ultime parole sono state esempio di vita: “Che io muoia non è una disgrazia; quando il frutto è maturo è giusto che cada. Parto lieto come a nozze.”»
Grande saggezza. Come è nata la sua vocazione per il sacerdozio?
«Direi quasi alla nascita. Il mio padrino di battesimo, Giuseppe Grazioli, gendarme di Civezzano, chiese ai miei genitori di avermi con sé per alcuni giorni, diventati poi cinque anni. In questo periodo ho fatto un’esperienza che ritengo fondamentale. A Civezzano c’era il carcere: l’impressione per me bambino è stata enorme e il pensiero interiore, già a quell’età, mi ha portato a desiderare, da adulto, di diventare sacerdote, per liberare dal dolore quelle anime imprigionate».
Secondo lei nel mondo odierno manca il richiamo alla religione?
«C’è un certo benessere e l’uomo di oggi, erroneamente, pensa di giungere a qualsiasi meta autonomamente. Per i giovani bisogna dare testimonianza, buon esempio, non parole che, in genere, urtano sempre. Non farei prediche a nessuno».
Sull’apertura di Papa Francesco al mondo Lgbt, che pensa?
«Umilmente rispondo che non voglio certo fare il giudice del mio Vescovo, ma lo ritengo un passo errato, forse mal consigliato. Anche sul possibile sacerdozio per le donne preferisco mantenere la tradizione: dico che esso è di origine divina, nella scelta di 12 apostoli che ne seguano l’esempio, pur dando alla donna un ruolo di grande rispetto; per cui le sacerdotesse sarebbero un’invenzione umana e non divina».
Lei è molto affezionato al suo giardino: cosa rappresenta per lei?
«Il Parco della Vita: i pini rappresentano l’ascesi cui deve tendere l’umano. Il panorama della valle è un incanto. In questo habitat ci sono le statue in grandezza umana di mio padre con in mano la vanga a ricordo del suo lavoro, la mamma con in mano il vangelo sul cuore e l’altra sul capo dell’infante a simbolo di amore verso la famiglia. Più avanti si erge il busto della mia amata sorella Sabina che rinunciò al matrimonio per stare accanto a me».
Don Avi, la vediamo commosso…
«La vita! La mia vita! Che ricamo di Dio! Lì per lì non si capisce niente – anzi tutto è un groviglio di fili che si incrociano e non capisci niente. Ma poi con l’andare degli anni e con la Luce che ci viene nel cuore ti accorgi – per gradi – che davvero la vita è un misterioso ricamo di Dio».
l'intervista
di Davide Orsato
L’analisi del giornalista che ha di recente pubblicato un manuale per spin doctors dal titolo «Non difenderti, attacca» e contiene 50 regole per una comunicazione politica (imprevedibile e quindi efficace)