cronaca
sabato 7 Dicembre, 2024
di Davide Orsato
Per non parlare, nel timore di essere intercettato. era ricorso a uno stratagemma: aveva posizionato un cartello sotto la giacca con una scritta evidente: «Ridatemi i miei soldi», che poi ha aperto per l’intimidazione con un effetto scenografico. Non è servito, anzi: è diventata una prova in più ai suoi danni. È il risvolto, comico, di un’indagine serissima, che ha portato a un arresto per estorsione e che torna a toccare, come indagato, un esponente di spicco del caso «Perfido». A finire in carcere un uomo residente in Valsugana: Saverio Manuardi, origini calabresi ma residente in Valsugana e con problemi, già in passato, con la giustizia. I carabinieri del nucleo investigativo del comando provinciale di Trento, assieme ai militari della compagnia di Borgo Valsugana l’hanno individuato venerdì mattina mentre, per l’ennesima volta, si era presentato negli uffici di un’associazione di volontariato, per chiedere la restituzione di settemila euro. Una somma che aveva versato nei mesi precedenti, come forma di giustizia riparativa. Finito al centro di un’indagine per spaccio di droga, trovato in possesso di cocaina, Manuardi aveva avuto una condanna con «messa alla prova», con lavori socialmente utili e donazioni a realtà che combattono la tossicodipendenza per dimostrare il cambio di condotta. Non del tutto sincero, a quanto pare.
Già più di un anno fa Manuardi, infatti, aveva iniziato a pretendere la restituzione del denaro affermando che secondo lui non avrebbe dovuto svolgere il servizio alternativo né tanto meno effettuare la donazione. All’inizio le richieste erano saltuarie ma dal mese di marzo sono diventate sempre più insistenti sia con messaggi sul telefono della vittima, uno dei responsabili dell’associazione, ma anche attraverso visite di persona. Con escamotage come il ricorso al cartello. Negli ultimi due mesi però la situazione era diventata insostenibile: le richieste sono diventate ancora più pressanti e si sono verificati verificarsi inquietanti episodi che hanno generato nella vittima un forte senso di agitazione e paura. Visite di soggetti sconosciuti, tra cui quelle di due cittadini albanesi, allo scopo di sollecitare la richiesta, con frasi inquietanti: «Non si parla con i carabinieri». «Attento che ci sono anche gli interessi». La vittima, inoltre, si sentiva pedinata e ha denunciato di essere seguita da auto nel ritorno a casa. Il quarto indagato è una «vecchia conoscenza»: Innocenzio Macheda, ritenuto il vertice della ‘Ndrangheta a Lona Lases. Macheda avrebbe fatto da «consulente», presentandosi all’associazione e «consigliando» di restituire la somma, affermando che «sapeva cosa stava accadendo».