L'editoriale
venerdì 8 Marzo, 2024
di Elena Tonezzer*
Il dibattito per la formazione della Giunta regionale, con la nomina di almeno una donna raccontata come una specie di penalità da scontare, conferma la necessità di ribadire che la presenza delle donne nello spazio pubblico non è il risultato di una concessione, ma il riconoscimento della loro partecipazione alla società.
L’esistenza di personalità femminili a tutti i livelli, economici, politici e culturali, toglie l’alibi alla principale scusa per giustificare consigli di amministrazione al maschile o convegni con interventi di soli relatori. Un alibi simile viene accampato anche quando si tratta di dare visibilità alle donne nei luoghi della rappresentazione pubblica per antonomasia, come i nomi delle vie e delle piazze, i monumenti.
L’associazione «Mi Riconosci?», diffusa in quasi tutta Italia, nel 2022 ha contato in tutto il Paese solo 171 monumenti dedicati a nomi femminili (escluse le sante e le Madonne). Nelle maggiori città italiane, i monumenti dedicati a donne sono quasi assenti: mettendo insieme Roma, Napoli, Milano, Torino, Firenze, Bologna, Bari, Palermo, Cagliari e Venezia, si arriva a un totale di 18, di cui solo 10 sono veri monumenti o statue intere. Dei 171 complessivi, solo il 36% è collocato in una piazza, gli altri si trovano in posizioni defilate, come ai lati delle strade o nei parchi.
Eppure, lo spazio pubblico e i monumenti plasmano il nostro modo di pensare, offrono modelli, celebrano. Per questo va sottolineato che i monumenti dedicati a donne realmente esistite sono pochi e per di più spesso ricalcano rappresentazioni stereotipate e sessualizzate. Ad Acquapendente (Viterbo), le giornaliste Ilaria Alpi e Maria Grazia Cutuli, uccise sul lavoro, sono state rappresentate nel 2003 completamente nude; Cristina Trivulzio di Belgiojoso, scelta a Milano per ricordare il suo impegno sociale portato avanti negli anni della maturità, è raffigurata come un’affascinante ventenne. Per quanto riguarda il Trentino, la presenza di donne nello spazio pubblico ufficiale e celebrato dal bronzo o dal marmo non risulta certo diffusa. Nel 2012 è stato inaugurato a Borgo Sacco il monumento alle Zigherane, che non rappresenta una singola donna ma un collettivo, le centinaia di operaie che lavorarono alla locale Manifattura tabacchi.
Nel parco di piazza Dante a Trento, dove i busti sono numerosi, si trovano due figure femminili nel complesso monumentale firmato nel 2007 da Gillian Wearing, dedicato alla famiglia: si tratta di madre e figlia, che condividono il piedistallo con padre, fratello e cagnolino/a.
Anche la toponomastica conferma una sottorappresentazione delle vie e piazze intitolate a donne, quasi tutte attribuite negli ultimi decenni, segno di un mutato atteggiamento nelle commissioni toponomastiche. Nel Comune di Trento si contano 1065 intitolazioni di vie e strade, di queste 366 sono dedicate a uomini, 51 a donne (10 Madonne, 11 sante, 4 suore).
L’obiezione che si muove a chi sollecita una maggiore presenza femminile è spesso lapidaria, e si rifà a una presunta assenza di donne tanto meritevoli da essere ricordate con una piazza, una via, un vicoletto. La scarsità di nomi femminili nelle antologie o nei dizionari biografici è collegata a due questioni: ai freni legali e sociali che impedivano alle donne di esercitare certe professioni e al fatto che chi ha redatto le antologie e scelto i nomi degni di essere ricordati, era portatore di una cultura non attenta a cogliere i contributi femminili. Il volume di Roberto Pancheri, «Dai Salotti ai ponteggi», ha il merito di non essersi fermato a quanto era già noto, cioè che la quasi totalità della scena artistica locale era maschile, ma di aver cercato deliberatamente la presenza di pittrici e scultrici, che non erano state annoverate negli elenchi artistici locali. I risultati di Pancheri tolgono dalla nebbia nomi, vite, capacità che sono state cancellate dalle scelte fatte, dai pregiudizi dei critici e dei galleristi. Il problema non era l’assenza di artiste donne, ma l’assenza della loro registrazione.
A chi oggi ride della questione, definendola meno urgente di altre, va ricordato che la scelta della monumentalistica e della toponomastica ha alimentato la storia urbana per secoli. Chi rappresentare, come, quale artista scegliere, dove collocare quella statua; se intitolare una via a Cavour o a Garibaldi, se togliere il nome di un partecipante alla Marcia su Roma per darlo a un partigiano: questi dibattiti sono il sale del racconto che le città recitano senza nemmeno rendersene conto. Una narrazione dettata da chi deteneva il potere di influire sul discorso pubblico, da chi possedeva la capacità di decidere chi doveva essere ricordato, chi dimenticato.
Per dare alle città il suono di una polifonia più inclusiva rispetto al linguaggio che hanno parlato fino ad ora, è necessario superare quanto già fatto e detto, aprire la possibilità a nomi nuovi – che vanno anche cercati – per conservare il ricordo di esperienze biografiche eterogenee, perché bambini e bambine possano trovare ispirazione e vedersi rispecchiati in città capaci di rappresentarli.
*Storica e ricercatrice della Fondazione Museo storico del Trentino
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