Il diario

giovedì 23 Maggio, 2024

Dopo mesi è tempo di tornare. Grazie Pakistan, qualcosa mi mancherà. Grazie Italia per le nostre conquiste

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La lettera di addio a Islamabad dopo un'esperienza immersa tra sapori, odori, colori e una cultura totalmente diversa da quella occidentale

Cari amici,
questa notte, «finalmente» tornerò in Italia. Ho da poco aperto gli occhi. L’ultimo risveglio qui. Le ultime riflessioni ad Islamabad. L’ultima giornata piena di impegni improvvisi e mai programmabili in anticipo come per me e per la mia serenità , invece, sarebbe indispensabile calendarizzare. Ma qui, per questo popolo, il tempo ha un valore diverso.


L’ultimo risveglio «a suon di ramazza». Proprio così: ogni mattina, alle 7.00, uno degli uomini addetti alla pulizia e alla manutenzione dell’ostello maschile in cui vivo, scopa il corridoio di fronte alla porta d’entrata della mia camera con una ramazza! E quindi, ogni mattina, attraverso i tre centimetri che separano la mia porta dal pavimento e che ho provato a chiudere con un lenzuolo per non consentire a qualche sgradito ospite di farmi visita durante la notte, come già accaduto, ma che chiaramente non isola da alcun suono esterno; posso udire, al posto della sveglia, le setole di legno che raspano il marmo. Qui, gli uomini, e non le donne, puliscono con strumenti che usavano i nostri nonni (e io ho cinquant’anni). Nulla di elettrico, nulla di tecnologico, nessun detersivo: solo ramazza e una specie di Mocho con le setole molto lunghe imbevute d’acqua che passano sul pavimento più per togliere la polvere che per pulire.
E io non ho resistito. La donna occidentale che c’è in me non ha resistito: dopo le prime due volte in cui sono venuti a pulirmi la camera, con loro evidente grande dispiacere (ma non solo loro), ho sentito il bisogno di pulire da me la mia stanza: ho comprato scopa, Mocho, detersivo per i pavimenti e tutto il necessario e mi sono arrangiata perché, diciamo, non mi sentivo a mio agio.
Ogni mattina l’uomo che viene a pulire il corridoio ritira anche la spazzatura che alla sera preferisco mettere fuori dalla porta perché, con questo caldo, genera odori poco gradevoli.
Perché per tutto il tempo in cui sono stata qui ho cucinato nella mia camera, non ho mai avuto il coraggio di mangiare il cibo dell’ostello, vedendo che le ragazze, pur essendo abituate a questo cibo, erano sempre con stomaco e intestino in subbuglio. Già, perché qui ormai, da qualche settimana a questa parte, la temperatura minima è sui 36 gradi. Immaginate la massima! E ogni mattina «l’omino» ritira non solo la borsina della spazzatura indifferenziata del giorno, ma anche il grande sacco delle immondizie blu in cui lo ripongo. Lo ritira perché lo utilizza poi per raccogliere la spazzatura di tutti e per trasportarla più agevolmente, sulle spalle, al punto di raccolta: il fiume che scorre a 50 metri da qui. Purtroppo avete capito bene: tutta la spazzatura dell’ostello, senza alcuna separazione, finisce nel fiume.
Ma torniamo a noi… L’ultima colazione qui a cui pensare. Qui, dove i sistemi di conservazione dei cibi sono come quelli dei nostri nonni. Qui, dove non puoi mangiar nulla di crudo, per non rischiare, ma dove, con questo caldo, accendere il fuoco per cucinare risulta pressoché fastidioso.
Qualcuno potrà pensare che io sia proprio una viziata donna occidentale, ma vi assicuro che cucinare, anche se solo per se stessi, in camera, senza aria condizionata, fa passare la voglia di mangiare.
L’ultima giornata in cui, quando vado in bagno, per tirare l’acqua devo usare una pignatta rossa posta vicina al water, perché qualche tempo fa, son passati mesi dall’ultima volta che è venuto, l’omino delle pulizie ha inavvertitamente rotto la tubatura dell’acqua del bagno. E chiaramente, nonostante le mie continue richieste e i loro ormai giornalieri e cortesi ma falsi «yes coach, yes coach, yes coach…» nessuno è mai venuto a riparare il tubo.
L’ultima volta in cui dovrò lavare tutta la biancheria e tutti i miei vestiti a mano, in una gigantesca bacinella rossa posta accanto al lavandino. Il primo giorno in cui sono arrivata mi hanno raccomandato subito e con insistenza di tenerla sempre piena almeno a metà,  perché spesso accade che manchi l’acqua e in alcune ore del giorno l’acqua viene chiusa quindi «coach, se in quei momenti devi lavarti le mani o i piedi puoi usare quell’acqua».
L’ultimo giorno in cui per raggiungere a piedi la palestra dovrò camminare per 10 minuti sotto un sole cocente, con 40 gradi all’ombra (quasi inesistente) e senza un filo d’aria.
Ma anche l’ultimo «good morning coach, how are you» con qui il portiere mi ha accolta con un sorriso smagliante e occhi ‘grati’ ogni singolo giorno.
L’ultimo «do you need everything, coach?» che poi non erano comunque in grado di soddisfare, ma che «andava chiesto».
L’ultimo sguardo ai gruppetti di uomini felici sdraiati sul prato sotto l’unico metro quadrato di ombra tutti ammassati intenti a chiacchierate.

Grazie Pakistan per l’accoglienza.
Grazie Italia perché, nonostante tutti i problemi che abbiamo, mi sei mancata tanto e torno volentieri ad apprezzare tutte le nostre «conquiste». Mi sento fortunata.
Anche se so che qualche aspetto di qui, da cui ho cercato di trarre spunto, sicuramente mi mancherà.