Alpinismo
mercoledì 27 Settembre, 2023
di Davide Orsato
Non solo Reinhold Messner. Radek Jaros, Maksut Zumayev, Jerzy Kukuzca, Krysztov Wielicki e gli italiani Silvio «Gnaro» Mondinelli e Sergio Martini. Quest’ultimo trentino di Rovereto (o, meglio, di Lizzanella, come preferisce). Tutte leggende dell’alpinismo degli ultimi decenni. Tutti finiti nel tritacarne digitale di Eberhard Jurgalski, giornalista tedesco che ha una passione e un’ossessione: gli ottomila. Senza mai averci messo piede, da anni registra vie, percorsi, cronologie delle varie scalate. Con il puntiglio di redarre una lista autentica, verificata, di chi ha davvero scalato tutte e quattordici le cime che superano gli otto chilometri. Si è parlato tantissimo, in questi giorni, della contestazione, in realtà datata (risale al 2019) a Messner: non sarebbe mai arrivato in cima all’Annapurna ma si sarebbe, erroneamente, fermato cinque metri più in basso. Se la vicenda è diventata «virale» lo si deve alla scelta del Guinness dei Primati, che ha deciso di escludere l’alpinista brissinese: non è più il primo ad averli scalati tutti. Anzi, non l’avrebbe mai fatto «per davvero».
Le contestazioni a Martini
Vittima dello stesso spietato «fact-checking», Martini, ora 74enne. Jurgalski ha riassunto tutti i suoi rilievi in una lista che occupa due pagine di un fil pdf, scaricabile dal suo sito web www.8000ers.com. A Martini vengono contestati, l’Annapurna, con la nota a margine di «mancanza di prove» e il Manaslu, con la nota a margine di «cima mancata». Che significa? Nel primo caso, Martini non avrebbe presentato foto ci sono «solo» le testimonianze sue e di chi lo accompagnava. Nel secondo, esattamente come sarebbe accaduto a Messner, non sarebbe arrivato nel punto più alto. Messner ha contestato la ricostruzione del giornalista, affermando che la cima dell’Annapurna, essendo formata da un ampio «plateau» con ammassi di neve è soggetta a variazioni: cinque metri non sono nulla, soprattutto se la «richiesta di prova» arriva decenni dopo. Simile l’«accusa» a Martini per quanto riguarda il Manaslu. Questa montagna ha una cima ben definita ma con la neve si può presentare lo stesso problema. Molti alpinisti, infine, si fotografano su una sorta di pianoro a pochi passi dalla cima. Martini potrebbe aver fatto altrettanto. Tanto basta, per finire nella «lista nera» di Jurgalski.
«Una persona onesta»
Chi conosce il «curriculum vitae» di Martini non può che essere sorpreso dall’accusa. Si sta parlando dello stesso alpinista che, non potendo provare l‘arrivo alla cima del Lhotse, la quarta montagna più alta della terra, la scalò di nuovo nel 2000 dopo il primo tentativo con l’amico Fausto De Stefani avvenuto due anni prima, nel 1998. Lo rifarà anche con il Manaslu, nel 2012, all’età di 63 anni. Si fermerà a quota settemila metri causa avversità meteo. «L’intera questione è assurda — taglia corto Alessandro Filippini, giornalista esperto di alpinismo, trentino di adozione — stiamo parlando di una persona che ha distanza di anni mette in discussione ogni scalata non tenendo conto di cosa significava “ottenere una prova”, trenta, quaranta, cinquanta anni fa. Fare una foto non era così semplice. Non sempre era possibile farla dalla cima e tanti alpinisti esperti se la sono scattata dall’anticima, senza per questo ritenere che la sarebbe stata messa in dubbio la scalata completa». Filippini rivela anche un retroscena sul modus operandi dell’appassionato tedesco. «Ha chiesto le foto delle vette prima a Martini e, poi, quando questi a rifiutato, a me. Purtroppo erano in mio possesso e gliele ho date. Martini sapeva che uso ne avrebbe fatto, io no. È un peccato che delle persone oneste, uomini che hanno fatto della montagna la loro vita finiscano screditati in questo modo. Sergio Martini è sicuramente tra questi: gente che non si sognerebbe mai di raccontare una cosa che non è stata fatta». La scelta del Guinness dei Primati ha fatto infuriare anche Simone Moro, allievo di Messner. «Jurgalski ha la fama di essere preciso e ha creato un un sito molto valido. Ma la rimozione del record di Messner è una boiata pazzesca, criticare le valutazioni fatte all’epoca con strumenti odierni e che allora non esistevano, come i Gps non ha senso». Il diretto interessato, su questa vicenda, ha scelto un rigoroso silenzio.