La storia
martedì 13 Febbraio, 2024
di Carlo Martinelli
Se ne è andata Nadia Ioriatti. Aveva 68 anni, lascia Alessandra e Matteo, «i miei stupendi figli», come amava ripetere. Trento perde una donna che ha lasciato un segno non marginale nella vita sociale e culturale cittadina, una donna forte e coraggiosa. Lei, femminista convinta — «non dobbiamo nasconderci dietro i sofismi dialettici, è indispensabile essere femminista oggi», disse in una intervista — vide capovolgersi la sua vita l’8 marzo del 1995. Quel giorno, a Milano, un dottore emette la sentenza sui dolori e sui mali che da mesi la tormentavano. Sclerosi multipla. Lo racconterà dapprima nella rubrica che per anni ha tenuto sul mensile «Questotrentino», scritti poi raccolti nel suo primo libro, «Io tinta di aria». Lo stesso titolo della rubrica, nient’altro che l’anagramma del suo nome. Così raccontò quel suo terribile 8 marzo: «Sono uscita da quell’ambulatorio con mille anni addosso, passando impietrita tra i pazienti divenuti compagni di battaglia. Le mimose si sono seccate e odorano di camposanto. Sono passati tre lustri da quell’8 marzo e sono ancora qui — contenta di esserci, nonostante tutta la sofferenza — ma se ripenso allo choc provato quel giorno, vorrei avere braccia lunghissime per potermi abbracciare».
Le sue due vite
Iniziò quel giorno la sua seconda vita. La prima, per trent’anni, l’ha vista stimata funzionaria in Provincia. La seconda l’ha vista affrontare la malattia dalla quale, scrisse, «non mi sono ancora lasciata fagocitare, conservando un cielo azzurro e sano dentro di me». Per questo oltre a lettura e scrittura ha continuato — fin quando le forze l’hanno sorretta, sulla carrozzina che l’accompagnava ovunque — a frequentare conferenze, teatro, cinema. Un impegno sociale che declinava nel definirsi ambiental – pacifemminista, vegetariana, ritenendo ancora possibile salvare il pianeta con la «decrescita felice».
I due libri autobiografici
Si definiva affetta da «bulimia culturale» e il suo era uno sguardo attento e acuto su grandi e piccoli fatti, con una scrittura limpida, che ritroviamo nelle centinaia di articoli per «Questotrentino» e nei due libri che ci lascia. Oltre a «Io, tinta di aria» del 2013 anche «Aria che allenta i nodi» del 2016, entrambi editi da Curcu & Genovese: il primo con la prefazione di Piergiorgio Cattani, il secondo con quella di Marcello Farina. Un volontario esercizio di minuziosa critica autobiografica: superato il varco «malattia – sventura» Nadia Ioriatti è approdata alla «sventura – opportunità». Rifiutando la rassegnazione, la commiserazione. «Sono così, costretta a muovermi su una carrozzina con gli occhi all’altezza del culo degli altri».
Nei suoi scritti non ci sono solo i sentimenti, ma anche efficaci descrizioni, come quella del padre, perso presto, ma pietra miliare nella sua crescita, o quella della figlia, della quale racconta l’avventura al concorso di Miss Italia: all’inizio mamma Nadia, intransigente femminista, osteggiò la cosa per poi giungere all’accettazione e alla condivisione.
La capacità di scrittura
Nei suoi scritti torna spesso la sua «scarsa autostima». Dopo la pubblicazione del primo libro, le prime presentazioni, le recensioni autorevoli, le vendite, iniziò a pensare che non si trattava di una gratificazione che gli amici rivolgevano alla sua disabilità. «Forse so scrivere davvero», disse. Ed era proprio così: sapeva scrivere. E ha saputo vivere con coraggio e dignità, aggredita da una malattia «il cui dolore, in una scala da uno a dieci, in me ha una intensità che supera il dieci».
Il funerale al cimitero di Trento, domani, mercoledì 14 febbraio, alle ore 11.
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