L'editoriale
mercoledì 4 Gennaio, 2023
di Francesco Terreri
Il Trentino dovrebbe chiudere il 2022 con una crescita del prodotto interno lordo (Pil) superiore al 3%, un risultato che recupera i livelli pre-pandemia, dopo la caduta del 9,2% nel 2020 e la ripresa del 6,9% nel 2021. La stima riportata nell’ultima nota di aggiornamento del Documento di economia e finanza provinciale indica una crescita del 3,7%, superiore a quella nazionale. Il Pil a valori correnti, anche grazie all’inflazione, supererà per la prima volta i 22 miliardi di euro. La crescita si tira dietro l’aumento dell’occupazione e la diminuzione dei disoccupati.
L’andamento più rallentato del secondo semestre e la frenata di alcuni comparti produttivi nell’ultimo trimestre dell’anno potrebbero aver ridimensionato in parte il tasso di crescita, pur mantenendolo sopra il 3%. La netta ripresa del turismo, si dice nei documenti provinciali, ha dato un impulso ai consumi e, insieme agli investimenti in edilizia trainati dalle agevolazioni fiscali come il superbonus, continua a sostenere l’aumento del Pil. La ripresa dei flussi turistici non si è fermata neanche nella fase iniziale della stagione invernale, tanto che i numeri finali degli arrivi e delle presenze 2022 potrebbero aver riagguantato i livelli record del 2019. L’interscambio con l’estero invece, pur essendo le esportazioni ai massimi storici, dà un contributo minore alla crescita del Pil perché sono fortemente salite anche le importazioni e il saldo commerciale si è ridotto.
Per il 2023 è un altro discorso: in un contesto segnato da forte incertezza, le prospettive scontano i rischi connessi all’approvvigionamento di gas, alla dinamica inflattiva nonché al rallentamento del commercio internazionale e all’aumento dei tassi di interesse. D’altra parte i fondi europei, non solo quelli del Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr), potrebbero attenuare il colpo e mantenere l’andamento del Pil in territorio positivo, sia pur di poco.
Un quadro del genere, però, risulta incompleto se non si tiene conto di come è cambiato l’assetto economico e sociale trentino dopo la crisi del 2008-2012 e di come sta cambiando con la pandemia e la crisi geopolitica che ha al centro l’invasione dell’Ucraina. A guardar bene alcuni dati, infatti, non mancano le sorprese.
Prima di tutto: bene che il turismo si sia ripreso e che sia tornato ai livelli massimi pre-Covid. Ma i «servizi di alloggio e ristorazione», come vengono definiti nella classificazione per branca di attività economica, negli ultimi dieci anni non sono mai andati oltre il 7% del valore aggiunto prodotto in provincia. Prima sì: negli anni Novanta del secolo scorso il turismo superava l’8% del Pil. Oggi non è più così. Anche considerando che una parte rilevante del commercio al dettaglio e altre attività dell’artigianato e dei servizi sono di fatto parte del sistema turistico, si può raddoppiare la percentuale, arrivare al 15% del valore aggiunto totale. Un comparto molto importante, ma non il più importante.
Viceversa, il comparto con la quota relativamente maggiore di Pil, in gara con il settore pubblico, è stata a lungo l’edilizia, se considerata assieme all’attività immobiliare. Il mattone è arrivato a sfiorare il 20% del valore aggiunto trentino prima che i contraccolpi della crisi lo mandassero indietro, lasciando sul campo numerose perdite. Nel 2020-2021, edilizia e immobiliare sono tornati sopra il 19% del Pil spinte dalle agevolazioni fiscali, ma ora il governo Meloni ha raffreddato quella leva, anche se non l’ha cancellata.
Il comparto produttivo che invece ha preso la testa del gruppo, dopo anni di basso profilo, è l’industria manifatturiera, che oggi è spesso industria 4.0 cioè informatizzata e robotizzata. Nel 2021 il valore aggiunto dell’industria in senso stretto è arrivato al 19,7% del totale. Nel 2007, prima della crisi finanziaria, era al 16,6%. Il punto di minimo è stato raggiunto nel 2012 con il 14,5% del valore aggiunto totale. Si dirà: e la nostra agricoltura con le sue eccellenze che fine ha fatto? Davvero è contenuta nel 4% scarso del Pil che i dati le attribuiscono? No naturalmente, proprio perché alcuni dei prodotti di punta dell’agro-alimentare trentino vengono da veri e propri distretti industriali, in primo luogo quello del vino.
In questo quadro anche i dati sul commercio con l’estero vanno letti con attenzione. Perché oltre 4 miliardi di euro di esportazioni e più di 3 miliardi di importazioni non possono essere un affare di poche medie e grandi imprese: sono, considerati insieme, il 34% del Pil, più di un terzo. Vent’anni fa a malapena raggiungevano un quarto della ricchezza provinciale. Senza dimenticare che avere in Trentino turisti dall’estero equivale a tutti gli effetti a vendere servizi sui mercati esteri. E senza trascurare che una parte rilevante del lavoro della logistica e dei trasporti, comparto a sua volta passato in vent’anni dal 6 all’8% del Pil, riguarda le relazioni con l’estero.
Certo, il mercato mondiale si può considerare come un fenomeno naturale su cui non si può influire. Va bene o va male, piove o fa bello: è la globalizzazione, bellezza! Su cui le illusioni sono cadute da un pezzo: la paura che il mercato globalizzato distrugga le economie e le comunità locali spinge ormai da anni il nuovo protezionismo, ampiamente sdoganato da vertici di grandi potenze mondiali e ora dal nostro nuovo governo. Quelle che erano state le rivendicazioni dei movimenti per un’altra globalizzazione, il consumo a chilometro zero, la sovranità alimentare, sono diventate bandiere del neo-protezionismo dei potenti. Si può adattarsi e vivacchiare in questo clima di guerre economiche, e non solo economiche. Oppure si può fare politica: considerare l’apertura al mercato globale un’opportunità di dialogo tra comunità locali di diverse parti del mondo, un’opportunità di crescita per tutti, l’occasione per praticare un commercio più sostenibile, più equo, più solidale.