economia
giovedì 7 Settembre, 2023
di Margherita Montanari
Un’impresa di termoimpianti della Valsugana, a causa della mancanza di elettricisti ha dovuto rinunciare al lavoro. Un’azienda edile nonesa ha ritardato la chiusura del cantiere perché non aveva abbastanza operai. Un caseificio ha dovuto chiedere ai dipendenti ore di straordinari, con conseguente maggiorazione dei costi di lavoro. Una ditta di abbigliamento ha cercato a lungo tra canali di recruiting, progetti specifici con l’università ed enti pubblici per trovare candidati idonei a una posizione. Questa galassia di storie, vista da lontano, assume una forma chiara e riconoscibile ormai da tutti: la difficoltà, lamentata dalle imprese, nel trovare forza lavoro. Che sia per carenza di candidati o sfasamento tra domanda e offerta, il problema riguarda ormai un’azienda su quattro in Trentino. Secondo l’ultima indagine realizzata dall’Ufficio studi della Camera di commercio di Trento, infatti, questa complicazione ha interessato negli ultimi 12 mesi il 25,8% degli imprenditori trentini.
Il fenomeno è trascinato da un mercato del lavoro in evoluzione per effetto della transizione digitale, green e anche del cambio di paradigma dei lavoratori. Capita in tutta Italia, e con lo stesso vigore nel Nord Est. Non c’è però un’unica spiegazione. I fattori strutturali si trovano nel calo demografico e nell’invecchiamento della popolazione, che consentono di iniettare sempre meno lavoratori sul mercato. Agli occhi degli imprenditori trentini, la motivazione principale è la mancanza di candidati disponibili (54,9%), seguita dall’inadeguatezza delle qualifiche e dei requisiti dei potenziali candidati (45,1%). Ma ribaltando la prospettiva, agli occhi dei lavoratori certi ruoli risultano poco appetibili per le condizioni salariali o per i tempi di lavoro (vedi il pezzo nella pagina a fianco).
«La carenza di personale nelle imprese trentine – spiega Martina Andreoli, dell’Ufficio Studi della Camera di Commercio – è un problema complesso che arriva ad incidere anche sulla loro operatività». Soprattutto per le realtà più piccole, trovarsi sotto organico può significare dover ridurre l’attività o riorganizzare i processi produttivi. Un 6,4% delle imprese ha rifiutato commesse e ordinativi per contrastare la carenza di lavoratori. La difficoltà di reperire lavoratori è stata più intensa nell’industria e nelle costruzioni negli ultimi 12 mesi. A mancare sono profili qualificati. Quelli, per intendersi, che escono dalle scuole professionali. C’è una richiesta alta, ma gli iscritti sono pochi. E anche gli indirizzi non sono sempre orientati al mondo del lavoro, dicono gli imprenditori. Maggiori investimenti in formazione professionale e nel miglioramento dei progetti di orientamento scolastico sono visti come priorità da un terzo degli imprenditori che hanno risposto al questionario della Cciaa. Il problema sembra quindi legato soprattutto a un mismatch formativo. Affrontabile attraverso l’intensificazione della collaborazione con scuole e università, portando studenti in percorsi di alternanza e tirocinio o semplicemente organizzando eventi per far conoscere alle scuole la propria realtà aziendale. Ma c’è anche un 21% che ritiene siano necessari incentivi maggiori anche per intensificare la formazione fatta dalle ditte stesse.
Lo scenario, però, non è statico. La frenata dell’economia sta contraendo le assunzioni e potrebbe riscrivere anche il fabbisogno delle imprese in termini di manodopera. Nei primi sei mesi del 2023, si sono perse 3.092 assunzioni (-3,8%). E sono calate soprattutto quelle di giovani under 30 (-7,9%), con 2.294 posti in meno dei tremila totali.
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