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giovedì 16 Febbraio, 2023

Eleonora Maino: «A Basilea studio le malattie neuromuscolari. In Italia nella ricerca non c’è spazio per donne e giovani»

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La storia della ricercatrice costretta a emigrare

Sono molti i giovani trentini che con una laurea in mano hanno trovato opportunità lavorative con maggiore concretezza all’estero. Una scelta di vita che li allontana dalla propria terra natia rincorrendo non solo una passione, ma un’opportunità di crescita personale. Se da un lato l’aspetto formativo prettamente personale viene raggiunto, dall’altro il Trentino e l’Italia si trovano con un patrimonio intellettivo e umano svuotato delle proprie eccellenze con una ricaduta negativa significativa in termini di crescita complessiva nei settori della ricerca e in quelli multidisciplinari. Eleonora Maino è una ricercatrice trentina che dopo una triennale in biotecnologie a Milano e una magistrale a Trento al CIBio si è trovata costretta a fare i conti con il proprio futuro. «Per rimanere in ambito accademico – ha spiegato Maino – non ci sono molte scelte nei nostri dintorni. In Italia il sistema è estremamente statico e non dinamico come ho potuto verificare io stessa fuori dal nostro Paese». Così la decisione di migrare in Canada a Toronto per affrontare un nuovo percorso di studi specifico per affrontare da un punto di vista della genetica molecolare la genetica neuromuscolare e le patologie ad essa correlate. Sei anni di studi e ricerca che l’hanno ulteriormente professionalizzata. Davanti a Maino ancora un bivio. Tornare in Italia o cercare altro che le permettesse di progredire, lavorativamente parlando, nel proprio ambito di studi e ricerca. Maino ha così guardato all’Italia e ne ha dovuto constatare lo stato di fatto, quello di un paese immobilizzato e fossilizzato in una gerarchia accademica che guarda in un’unica direzione, quella che considera il ruolo maschile migliore di quello della donna e che premia l’anzianità di servizio rispetto al dinamismo che potrebbero portare le giovani menti: «Il mondo accademico italiano è ancora estremamente maschilista – sentenzia Maino -. La maggior parte dei docenti sono uomini di una certa età, soprattutto nelle posizioni al vertice. Quindi tendenzialmente se sei donna e giovane vieni molto poco considerata e ritenuta più “l’assistente di” e presa poco sul serio, invece che considerata come una persona indipendente, competente e capace. Nonostante questo sia un problema che c’è anche in parte all’estero, è sicuramente molto più radicato in Italia. Personalmente questa impostazione mi frena molto dall’idea di rientrare e rende le cose ancora più complicate. Dall’altra parte mi piacerebbe molto rientrare perché sarebbe bello provare un po’ a cambiare il sistema». Oggi la ricerca di Maino è sempre concentrata sulla genetica neuromuscolare, in particolare sulla ricerca di base che porta ad analizzare il funzionamento dei meccanismi genetici di alcune patologie, come la distrofia di Duchenne, per provare a sviluppare nuove terapie. Una ricerca che da ottobre sta svolgendo in Svizzera a Basilea. «In Italia non ci sono le condizioni che ho potuto vedere all’estero – spiega Maino – e non parlo solo di stipendi ma di possibilità. Conosco ragazzi e ragazze che qui, a 35 anni, hanno un loro laboratorio. Non dico che sia semplice, si fatica, ma almeno la possibilità esiste. In Italia non conosco realtà simili. Con lo stipendio di un post dottorato all’estero si può avere una vita». Maino sta riuscendo a lavorare nel proprio ambito di studi, ma paga il prezzo della distanza da quell’Italia che comunque le manca. «Sono contenta di dove sono, ma andare all’estero è una scelta che condiziona se stessi e le persone che ti sono vicine. Se ci fosse la possibilità, se in Italia e in Trentino si reinvestisse nella ricerca, se si desse il via ad un vero ricambio generazionale, allora tornerei. E – conclude la giovane ricercatrice in genetica molecolare e malattie neuromuscolari – non è nemmeno una questione di contratti a tempo indeterminato, ma di mobilità del lavoro. Avere la possibilità della garanzia di poter fare il proprio mestiere e di potersi spostare successivamente in altre mansioni. In Canada lo si poteva fare a qualsiasi età e questa mobilità permette di avere sempre menti fresche e operose».