L'INTERVISTA
martedì 24 Ottobre, 2023
di Donatello Baldo
La prima bottiglia, rigorosamente di TrentoDoc, il neoeletto presidente Maurizio Fugatti la sboccia al bar degli amici. Bar Perotti, Avio. Il bar del paese dove a tutti dà del «tu», dove lo chiamano «Mauri», dove un bicchiere assieme al concittadino illustre lo beve anche chi non è leghista, che vota da tutt’altra parte. Fugatti saluta, ringrazia, ma non smette di compulsare il telefono per tenere d’occhio i risultati della distribuzione dei seggi, delle preferenze interne alla Lega e agli altri partiti della coalizione. Il telefono squilla in continuazione, ma non a tutte le chiamate il governatore risponde. Ad una sì, al figlio appena uscito da lezione: «Mi ha detto che sapeva già tutto — afferma orgoglioso — che durante la ricreazione lui e i suoi amici hanno sbirciato sugli smartphone».
Non è che suo figlio voglia seguire le orme del padre e darsi alla politica?
«Eh, al piccolo gli piace la politica. Un po’ la cosa mi preoccupa, non è una bella vita questa. Ma dall’altra è bello che a quell’età si sia mossi anche dagli ideali».
La vittoria l’ha dedicata alla famiglia. Che un po’ ha trascurato in questi cinque anni?
«Soprattutto negli ultimi tre mesi. Partivo alle sette, tornavo a mezzanotte. Non sono stato a casa nemmeno una sera. Ma la decisione di correre per un secondo mandato è stata presa assieme, in famiglia, ed è stata la mia stessa famiglia a sostenermi. Per questo non posso che dedicare a loro questa vittoria».
L’altra dedica all’ex senatore leghista Erminio Boso e a Rodolfo Borga, anima di Civica Trentina.
«Cinque anni fa c’erano, ora non ci sono più. Boso mi ha sempre difeso all’interno della Lega, ha sempre creduto in me. E in certi momenti, era uno dei pochi a difendermi, lui e Alessandro Savoi. Poi Rodolfo, certo. Il posto di vicepresidente, nella scorsa legislatura, sarebbe stato suo. Poi è mancato. Ma sono sicuro che sarebbe felice di vedere cosa siamo riusciti a fare».
Un buon risultato, indubbiamente. Se lo aspettava così, con queste percentuali?
«Negli ultimi giorni sì, sentivo il clima positivo. Diciamo che non credevo affatto a chi diceva che saremmo andati sotto al 40%, ma non era scontato che arrivassimo sopra il 50. E andare oltre questa soglia, anche psicologica, ha un valore non indifferente».
Rispetto alla vittoria di cinque anni fa, oggi cosa cambia?
«Allora c’era chi scommetteva su quanto saremmo durati, alcuni ci davano meno di sei mesi… Invece siamo durati cinque anni, ed eccoci qui per altri cinque. Che affrontiamo con maggiore consapevolezza, certo. Ma anche in questo caso, senza dare nulla per scontato. Quello che ci ha permesso di tenere nonostante Vaia, la pandemia, le crisi, è stata la coesione della maggioranza, l’armonia dentro la giunta, dove abbiamo legato anche nei rapporti tra le persone. La prima volta, posso dire, dovevamo dimostrare di potercela fare, oggi dobbiamo dimostrare che siamo in grado di andare avanti ancora, grazie ai trentini che si sono fidati di noi».
E di lei, considerato il voto alla Lega — che in qualche modo ha tenuto — e alla Lista del presidente.
«La Lista del presidente è forse la vera sorpresa. Un risultato, anche questo, non scontato. C’è evidentemente una parte di elettorato che ha apprezzato il lavoro del presidente, indipendentemente dall’orientamento politico e culturale. Perché il voto a quella lista racconta questo».
È in qualche modo la «sua» lista. Chi e che cosa rappresenterà? Di che progetto si tratta?
«È la lista che rappresenta, nel nome e nel simbolo, e anche con assessore Spinelli, il lavoro della giunta in questi cinque anni. Se si prendeva il 3% sarebbe stata una cosa, qualche domanda me la sarei fatta, ma ha preso il 10%. Significa che i trentini hanno apprezzato, che hanno dato una valutazione positiva di quanto fatto a livello amministrativo. Quindi, quella è la strada su cui continueremo a muoverci».
E del voto alla Lega, cosa pensa?
«Altro dato non scontato, quello della riconferma di tutti gli assessori. Cosa significa? Che è stata apprezzata l’azione di governo, quella di Giulia Zanotelli che ha dovuto affrontare il tema dell’orso, quella di Stefania Segnana che si è trovata nel mezzo di una pandemia, ma anche una serie di attacchi sul tema della sanità, strumentalizzata in campagna elettorale. Poi Failoni e Bisesti. L’azione di governo, ripeto, è stata valutata positivamente. Oltre le appartenenze politiche».
Dica la verità, presidente, è contento di questi risultati anche per aver superato Fratelli d’Italia. Era questo il derby.
«Io sono della Lega, ovvio che tifo per la Lega. E con il risultato della lista Fugatti, vedo idealmente la riconferma di quel 23% che abbiamo fatto nel 2018. Poi dico questo: il voto rispetta equilibri e sensibilità di tutta la coalizione, di tutti i partiti che la compongono. Un risultato equilibrato che farà bene anche alla giunta».
E a proposito, s’è già fatto un’idea di come la vorrà comporre?
«Piano, una cosa alla volta».
Ma la vicepresidente a Francesca Gerosa è cosa fatta?
«Della vicepresidenza, come di tutto il resto, ne parleremo assieme. Affronteremo tutto dentro un ragionamento complessivo».
Chi l’ha chiamata oggi per congratularsi? E chi ha chiamato lei per ringraziare?
«Mi hanno chiamato Salvini, Calderoli, Giorgetti, Fedriga, Attilio Fontana governatore della Lombardia e Lorenzo Fontana presidente della Camera dei Deputati. E pure Giovanni Malagò, presidente del Coni. Chi ho chiamato io? Bossi, ho sollecitato perché mi chiami. Lui lo ringrazio sempre, ogni volta».
L’ha chiamata anche Valduga.
«Certo, e ho ringraziato anche lui, per la correttezza che ha dimostrato in campagna elettorale».
Di questi cinque anni, al netto di Vaia e della pandemia, cos’è che l’ha toccata di più, anche emotivamente?
«Non c’è dubbio, la tragedia della Marmolada. La situazione umanamente più difficile, quella che mi ha segnato. Sono rimasto lì cinque giorni, ho visto il dramma vissuto dai parenti dei dispersi, delle vittime. Non potrò mai dimenticare».
Ora si apre il secondo mandato. A proposito, sarà l’ultimo o cercherà anche lei, come Zaia, di modificare la legge per un terzo giro?
«Macché, nemmeno per sogno. Di mandati ne bastano due. Ho però intenzione di portare a termine molto del lavoro iniziato, a partire dall’ospedale di Trento, che diventerà forse già alla fine della legislatura, un vero e proprio ospedale universitario».
Su altri dossier?
«Il sostegno alle famiglie, su questo mi impegnerò. Soprattutto per quanto riguarda la casa, che è un tema che dobbiamo riprendere in mano».
Ha sentito Kompatscher? A Bolzano c’è un po’ di confusione sui futuri equilibri di giunta.
«Sentito. E seppur la Svp sia in calo di consensi, c’è da dire che lui ha avuto un successo personale evidente. La sua figura è un valore aggiunto per il rapporto con il Trentino, al di là della frammentazione che vive ora il panorama politico altoatesino. E spero di ricominciare a lavorare con lui al più presto, perché in questi cinque anni abbiamo lavorato bene assieme, tutti i documenti sono arrivati a Roma a doppia firma, la mia e la sua».
Presidente, la sua scelta di non presentarsi ai dibatti tra i candidati è stata molto criticata.
«Non potevo andare a tutti i dibattiti. Ero candidato presidente, ma ero anche presidente a tutti gli effetti, con un’agenda che non poteva essere più di tanto stravolta. La campagna elettorale me la sono organizzata a modo mio, girando il Trentino, cercando di incontrare le persone. Ho partecipato al dibattito che ho creduto il più importante, quello con le categorie economiche».
C’è chi ha criticato, in questi cinque anni, anche il suo rapporto con il Consiglio provinciale. Poco incline al dialogo con la minoranza. Cambierà approccio?
«Questa è stata la legislatura con il maggior numero di comunicazioni della giunta al Consiglio. Un rapporto c’è stato, ovviamente nel rispetto dei ruoli istituzionali».
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