L'inchiesta sulle seconde generazioni

giovedì 4 Aprile, 2024

Emanuela Guzei, è nata in Romania e cresciuta a Borgo «Da giovane ho trasgredito, ma poi l’evangelismo è stato un richiamo forte»

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La testimonianza: «La nostra cultura prevede che si seguano dei piani, che prevedono un fidanzamento ufficiale. Io per cinque anni sono stata insieme a un ragazzo musulmano senza che mia madre lo sapesse. Non lo avrebbe mai accettato»

Raccontare le seconde generazioni – cioè i figli e le figlie dei migranti, spesso nati e cresciuti in Trentino – attraverso filtri differenti da quelli usuali come la cultura, la sessualità, le relazioni, la religione. Dimensioni non statiche ma mutevoli e che spesso rivelano i compromessi delle identità. È questo l’obiettivo dell’inchiesta del T che oggi pubblica la terza puntata. La prima puntata il 22 marzo ha raccontato la storia di Nusrat Jahan Khan; la seconda puntata (29 marzo) quella Nouhad Laroussi.

 

Cosa significa essere evangelici? E cosa significa esserlo in Trentino? Emanuela Guzei nata in Romania, è cresciuta a Borgo Valsugana con la madre e due sorelle che una volta sposate «secondo i piani e le regole» della cultura romena evangelica si sono trasferite con i propri mariti. Emanuela, invece, di assecondare i dettami della tradizione non ne ha voluto sapere. Dalle feste in discoteca alla relazione di cinque anni con un ragazzo musulmano (con tutte le difficoltà delle differenze culturali) e tutto all’insaputa della madre. Ma alla fine «per quanto uno provi a scappare dalla propria cultura, si ritorna lì».
Cosa vuol dire essere evangelici?
«Siamo comunque cristiani e abbiamo la stessa bibbia, crediamo in Dio e in Gesù come i cattolici ma con qualche differenza. Per esempio, noi non santifichiamo la Madonna. Per noi è semplicemente la mamma di Gesù ma non è una santa. La nostra è una religione che si basa molto sulla relazione individuale con Dio. La religione è un rapporto personale con Dio, senza intermediari».
Lei è cresciuta in una famiglia particolarmente osservante?
«Mia madre sì. Anche se, in realtà la cultura romena si radica nelle famiglie molto più che la religione. Le mie sorelle hanno seguito alla lettera i dettami culturali, si sono sposate con ragazzi romeni evangelici, hanno prima fatto il fidanzamento. Io, invece, sono stata la pecora nera».
Era una ragazzina ribelle?
«Molto. Nel periodo in cui ho vissuto in Trentino non mi ritenevo nemmeno evangelica. Ho vissuto con mia madre che mi imponeva delle regole molto ferree e provava a parlarmi dell’esistenza di Dio. Io, adolescente, ho sempre fatto tutto il contrario, anzi, più mi faceva pressione più le davo contro. Anche se sapevo che erano cose sbagliate».
Ci può fare degli esempi concreti?
«Mia madre mi vietava di andare alle feste, o in discoteca con amici, perché erano posti in cui girava alcol, droga, sigarette, parolacce e musica. Io non sono mai andata ad una festa dicendolo a mia mamma. Per lei ero a casa di amiche. Ci andavo di nascosto».
Poteva avere dei fidanzatini?
«Non come volevo io. La nostra cultura prevede che si seguano dei piani, che prevedono un fidanzamento ufficiale. Io per cinque anni sono stata insieme a un ragazzo musulmano senza che lei lo sapesse. Non lo avrebbe mai accettato. Avevo molti amici musulmani e per lei già questo non era motivo di gioia ma l’ho sempre spacciato per amico. Ancora oggi, che sono felicemente sposata con un ragazzo romeno, non ho il coraggio di ammetterle che per anni sono stata insieme a un musulmano».
Quindi alla fine è tornata alle origini. Cosa è cambiato?
«Sai, per quanto uno provi a scappare dalla propria cultura, alla fine si ritorna lì. Quando ero piccola mia mamma mi ha insegnato a pregare, mi leggeva la bibbia, cantava i nostri cantici e io con la mia ribellione ho provato a prendere le distanze ma loro sono sempre rimasti dentro di me. Mi sono accorta che, sebbene andassi in discoteca non riuscivo veramente a divertirmi. Non ero a mio agio in quelle feste».
Quando ha deciso di riavvicinarsi all’evangelismo?
«Attorno ai 19 anni. Proprio quando mia madre aveva ormai gettato la spugna e con la maggior età mi aveva lasciata libera di scegliere per me. Mi ha fatta sentire responsabile delle mie scelte e devo dire che questa cosa mi spiazzò. Durante le vacanze di Pasqua andò in Inghilterra due settimane e mi lasciò da sola. Prima di partire mi disse: “Ti ho insegnato abbastanza. Ora fai quello che vuoi. Pregherò per te”. Fu una sberla morale».
Come si comportò in quelle due settimane da sola?
«Andai in chiesa. Mia mamma ci andava ogni domenica, sia mattina che pomeriggio. Io non la seguivo mai ma in quel momento ho sentito un richiamo. Fu lì che per la prima volta mi sentii a mio agio. E proprio in chiesa conobbi il mio attuale marito».
È un caso o ha cercato un ragazzo della sua comunità?
«Quando le mie sorelle si sono sposate hanno scelto un marito rumeno ed evangelico. Io ammiravo il loro modo di fare e sapevo, in cuor mio, che avrei fatto quella scelta prima o poi anche se in adolescenza avevo preso decisioni molto diverse. Quando ho conosciuto mio marito mi sono convinta che era quello che avevo sempre voluto e desiderato. Avere un uomo così».
Sicuramente ci sono meno incomprensioni che con il ragazzo musulmano…
«Chi si assomiglia si piglia. Io e mio marito ci capiamo subito. Con il ragazzo musulmano era più difficile e sebbene cercassimo entrambi di occidentalizzarci alla fine eravamo portatori di idee covate nelle nostre case, nelle nostre famiglie. Io avevo le mie e lui le sue. Banalmente, io festeggiavo il Natale e lui no. Io mangiavo maiale e lui no, quindi davanti a lui cercavo di evitarlo».
Si ricorda un aneddoto in cui ha capito che il vostro rapporto non poteva andare avanti?
«In particolare, ricordo il tema del confitto tra Israele e Palestina a cui io non ero particolarmente sensibile. Un giorno dissi che Israele era il popolo di Dio e lui si arrabbiò. Non oso immaginare oggi, con quello che sta accadendo, che problemi avremmo avuto».