Riscaldamento climatico
mercoledì 23 Ottobre, 2024
di Simone Di Maio
«Le tecnologie digitali che utilizziamo quotidianamente hanno un impatto ambientale significativo, spesso invisibile ai nostri occhi», afferma la professoressa Giovanna Sissa dell’Università degli Studi di Genova, esperta di sostenibilità ambientale nell’Ict (acronimo inglese di tecnologie dell’informazione e della comunicazione) e autrice del libro «Le emissioni segrete. L’impatto ambientale dell’universo digitale» (Il Mulino, 2024). In occasione della nona edizione del festival «Informatici senza frontiere» in programma a Rovereto da domani a sabato, Sissa interverrà sabato alle 10.30 a Palazzo Alberti Poja. La professoressa guiderà i presenti alla scoperta dei costi ambientali spesso invisibili delle tecnologie digitali, dalle emissioni di gas serra all’uso di risorse non rinnovabili. Opportunità preziosa per riflettere e prendere consapevolezza dei costi ambientali associati ai sistemi digitali che permeano la nostra vita quotidiana.
Partendo dal titolo del suo libro, cosa si intende per emissioni segrete? Qual è l’aspetto meno visibile ma più impattante dell’industria digitale?
«Il titolo del libro è provocatorio, graffiante, perché le emissioni segrete del mondo digitale sono un aspetto spesso sottovalutato. Non ci rendiamo conto che la società digitale, fatta di dispositivi e servizi connessi, ha un impatto ambientale considerevole. Ogni volta che usiamo un servizio digitale, come acquistare un biglietto online, dietro di esso ci sono infrastrutture come data center e reti di telecomunicazione. Queste, sebbene invisibili, contribuiscono in modo significativo alle emissioni di carbonio, in particolare attraverso l’elevato consumo energetico necessario per farle funzionare».
Il mondo digitale è spesso visto come pulito, probabilmente perché i suoi impatti ambientali sono invisibili ai nostri occhi. Quali sono, dunque, le principali fonti di inquinamento nascosto di questo settore?
«Invece di parlare di inquinamento, è più corretto riferirsi all’impronta di carbonio del digitale, in termini di anidride carbonica. Un impatto significativo proviene dall’estrazione e dall’uso di risorse minerarie limitate, necessarie per produrre dispositivi come i microprocessori. Le emissioni di carbonio del digitale si dividono in emissioni incorporate (cioè legate alla produzione e allo smaltimento) e emissioni operative (durante l’uso). Anche un dispositivo inattivo ha un impatto ambientale solo per il fatto di esistere. La produzione di dispositivi tecnologici è complessa, coinvolge risorse naturali rare e richiede processi industriali globali, spesso sottovalutati. Se ne parla ancora poco, perché l’impatto ambientale del settore digitale è distribuito in modo molto ampio e complesso. Spesso si tende a non considerare che i processi globali che alimentano il digitale hanno conseguenze significative sull’ambiente. Il mio obiettivo non è impressionare il lettore, ma fornire gli strumenti per comprendere autonomamente l’origine di questi impatti e ragionare in modo critico. Ad esempio, il settore digitale era già responsabile del 4 per cento delle emissioni globali di carbonio, quasi quanto l’industria aeronautica, nel 2020. Da allora, l’uso del digitale è cresciuto notevolmente, ma il suo impatto viene spesso minimizzato rispetto ai benefici che sembra offrire».
Come possiamo ridurre l’impatto ecologico di infrastrutture come data center e reti di telecomunicazione? Come immagina una transizione digitale ecologica?
«Per ridurre l’impatto ecologico delle infrastrutture digitali, dovremmo favorire l’uso di energia rinnovabile per alimentare data center e reti di telecomunicazione. Un futuro digitale più sostenibile potrebbe essere possibile attraverso lo sviluppo di tecnologie più efficienti dal punto di vista energetico e una gestione più consapevole del ciclo di vita dei dispositivi. Inoltre, investire in architetture informatiche ecocompatibili e promuovere il riciclo e la riduzione dei rifiuti elettronici sono passi fondamentali verso una transizione digitale ecologica».
Che ruolo hanno i consumatori nel ridurre l’impronta ambientale del digitale?
«I consumatori possono svolgere un ruolo significativo nell’allungare il ciclo di vita dei loro dispositivi utilizzando solo ciò che è realmente necessario. Ad esempio, evitare di scaricare applicazioni inutili sul proprio smartphone solo perché gratuite può prevenire il sovraccarico del dispositivo, che ne compromette le prestazioni. Un uso più consapevole e duraturo dei dispositivi tecnologici rappresenta una delle azioni più semplici e concrete per ridurre l’impronta digitale individuale».
Il settore tecnologico, in particolare con l’avvento dell’intelligenza artificiale, sta evolvendo rapidamente. Esistono tendenze recenti che destano particolare preoccupazione dal punto di vista ambientale?
«Il settore tecnologico si evolve rapidamente e una tendenza recente particolarmente preoccupante dal punto di vista ambientale è l’impatto dell’intelligenza artificiale. La sua impronta di carbonio sta crescendo e continuerà ad aumentare. Il problema non è solo qualitativo, ma soprattutto quantitativo: più queste tecnologie diventano parte integrante della nostra vita, più difficile sarà fermarne l’espansione in termini ecologici. È fondamentale che chi sviluppa e produce tecnologie legate all’intelligenza artificiale prenda in seria considerazione le implicazioni ambientali. Ogni onda tecnologica come quella dell’Ai, comporta costi ambientali che, se non affrontati in fase progettuale, finiscono per gravare sull’ambiente».
crisi climatica
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Il docente Unicam della Sezione di Geologia della Scuola di Scienze e tecnologie, nonché meteorologo (soprattutto per passione) delle gare sciistiche a Cortina è stato ospite della rassegna «Alpitudini»