L'evento
giovedì 26 Settembre, 2024
di Lorenzo Fabiano
Questione amletica: in tempi di intelligenza artificiale, che per molti si traduce nel rischio di ridurre gli esseri umani a macchine, che futuro ci attende? «Se ci consideriamo macchine, saremo prima o poi superati dalle macchine costruite da chi potrebbe controllarci … Per questo è necessaria una nuova scienza che includa la spiritualità e una nuova spiritualità che includa la scienza», scrive il fisico Federico Faggin nel suo ultimo libro, «Oltre l’invisibile» (Mondadori). Faggin, inventore e «padre» dei microchip, ne parlerà domenica 29 al Wired Next Fest 2024 di Rovereto al Teatro Zandonai.
Faggin, lei è il padre del microchip: come nacque il primo microprocessore, Intel 4004?
«Intel nacque per fare memorie a semiconduttore usando tecnologia MOS Silicon Gate che ho sviluppato io alla Fairchild Semiconductor. Allora la tecnologia di base era bipolare, e cioè un tipo di transistor completamente diverso dal MOS che stava avanzando tra un sacco di problemi. Io sviluppai una nuova tecnologia che usava il silicio invece dell’alluminio per fare l’elettrodo di controllo; questa tecnologia era cinque volte più veloce rispetto al primo MOS, metteva insieme sulla stessa superficie due volte il numero di transistor rispetto a prima, con una corrente di dispersione da cento a mille volte più bassa. Questa tecnologia ha permesso di fare per la prima volta le memorie RAM. L’Intel venne fondata proprio per utilizzare questa tecnologia. Nel 1970 passai all’Intel proprio perché volevo progettare circuiti integrati e velocissimi, così nacquero il processore 4004, poi l’8008 e quindi l’8080».
Oggi il Paese leader mondiale nella produzione dei microchip è Taiwan.
«L’Europa deve utilizzare tecnologia made in Taiwan, e anche un po’ made in Korea che però è più indietro. Dobbiamo pertanto toglierci il cappello davanti a quanto ha fatto Taiwan. Al contempo, rincresce che Intel abbia perso quel treno. Quindici anni fa era due generazioni più avanti, ora è due generazioni indietro. E quando il treno lo perdi, mica è facile riprenderlo. Chiaro che poi ci siano ripercussioni geopolitiche».
Intelligenza artificiale: più un’opportunità o più una minaccia?
«Se usata bene, una grande opportunità. Ma se ci accontentiamo di usare l’intelligenza artificiale come se lei ne sapesse più di noi, diventeremmo schiavi di chi ce la fornisce. È su questo che bisogna stare molto attenti. Ci stanno raccontando che noi siamo macchine e che saremo superati dal computer; balle, discorsi che si fanno per venderci questi prodotti. Siamo stati noi a creare il computer e abbiamo una creatività che va ben oltre quello che può fare il computer. È l’incomprensione dell’intelligenza artificiale che rischia di arrecare problemi gravissimi. Capendo chi siamo, potremmo invece usarla a nostro vantaggio»
Spiritualità e scienza: «Noi siamo luce, dobbiamo solo aprire gli occhi», lei scrive nel suo libro.
«È ora anche che la scienza si svegli e capisca che noi non siamo macchine, non siamo il corpo, ma campi quantistici che hanno coscienza e libero arbitrio. Io, come campo quantistico, controllo il mio corpo e gli faccio fare ciò che voglio. Questo campo è una realtà più vasta che contiene lo spazio-tempo. Lo stato quantistico del campo spiega la coscienza. Quando il corpo muore noi continuiamo a vivere, in quanto noi non siamo il corpo. Per vent’anni ho studiato questi aspetti della nostra natura, i miei libri spiegano queste cose per aiutare a capire chi siamo veramente».
«Siamo gravemente in ritardo sulle nuove tecnologie. Dobbiamo riportare l’innovazione in Europa». Mario Draghi nel presentare il suo studio sulla competitività dell’Unione è stato perentorio. Lei che ne pensa?
«Penso che ha ragione. Sapersi reinventare e rinnovarsi è fondamentale in termini di competitività. Basta vedere cosa han fatto negli Stati Uniti dove da sessant’anni la Silicon Valley è il motore principale dell’innovazione e continua a produrre tecnologie con incredibile prolificità».
Una Silicon Valley in Europa è ancora possibile, o resta una chimera?
«La Silicon Valley è prima di tutto un modo di pensare, con Venture Capital che investono decine di miliardi l’anno nell’innovazione. Se non ci sono questi fondi da investire, come è possibile fare innovazione? Quando sono arrivato, la Silicon Valley al massimo interessava 200.000 persone, 30.000 delle quali impiegate nell’industria high-tech e il resto indotto: oggi parliamo di 7 milioni di persone. Speriamo che questo appello di Draghi non cada nel vuoto. Gli appelli sono facili, ciò che serve è un vero cambiamento di prospettiva».